Non bastavano i miei crolli interiori, ci voleva anche il terremoto in Abruzzo. Da giovane vissi quelli del Friuli e dell'Irpinia. La televisione che li raccontava era ancora in bianco e nero, ma c'erano già Bruno Vespa ed Emilio Fede, che all'epoca leggevano asciutti comunicati senza bisogno di versare lacrime untuose su orsacchiotti di pelouche, nè di dire che il suono delle campane, responsabile di devastanti e pericolosissime vibrazioni in chiese già semidistrutte, "
è un segno di vita e di speranza". All'epoca il mio mondo era ancora piccolo e sguarnito, la Carnia e l'Irpinia erano ancora mere espressioni geografiche. Non c'era nemmeno la Protezione Civile, e stringeva il cuore vedere quella povera gente annichilita raschiare macerie con picconi e badili, in attesa che il resto d'Italia si accorgesse di loro. Non c'era nemmeno Radio Maria che vomitava farneticazioni come quella di ieri:
Poi il mio mondo s'è fatto sempre più esteso e affollato. E mi sono accorto Lunedì sera, di portarmi dentro tanto di quell'Abruzzo che quasi non me ne rendevo più conto. Un Abruzzo fatto di volti e di voci, di sensazioni e di ricordi, di immagini e di suggestioni, di sapori e di emozioni. E mi sono reso conto, Lunedì sera, che un po' di terremoto è toccato anche a me. Con quel po' di nausea provocata dalla stucchevole, martellante retorica che gronda da quasi tutti i mezzi d'informazione, così stridente se contrapposta alla dignità dei terremotati. Con quel po' di rabbia nel vedere il generale "
volemose bbene" mediante il quale la classe politica del Paese, a qualsiasi colore appartenga, assolve magnanimamente se stessa da eventuali responsabilità passate, presenti e future. Con quel po' di incredulità che mi viene nel rendermi conto che il futuro di quelle terre martoriate e bellissime è affidato a palazzinari senza scrupoli che già vaneggiano di "
new towns", e meditano di affidare i principali cantieri della ricostruzione alle Province italiane, le stesse che il Brunetta dei Ricchi e Poveri fra qualche settimana si appresta a svuotare di ogni competenza istituzionale ed amministrativa.
Con quel magone straziante nell'apprendere che il meraviglioso borgo di Santo Stefano di Sessanio, che ebbi la fortuna di visitare tempo fa, e di cui
bisogna assolutamente conoscere la storia recente ha perso la bella torre medievale e parte dell'antica chiesa che mi incantarono.
Ma anche con la gioia di sapere che i recenti restauri condotti da quella specie di Parsifal che è
Daniele Elow Kihlgren non solo hanno permesso di recuperare in modo impeccabile e rivitalizzare buona parte del borgo, ma hanno resistito benissimo al sisma che a pochi chilometri da qui ha fatto
tabula rasa di altri più sfortunati paesi.
Ecco, una notizia così è una luce flebile come quella della candela che regge Daniele nella foto qui sotto. Ma è pur sempre una luce. Vorrei fosse quella ad illuminare il futuro dell'Aquila, e non il cerone e la brillantina dei palazzinari.