Attenzione! Prima che qualche zelante devoto pretenda l'oscuramento del blog per manifesta blasfemia, o peggio emani una fatwa a spese della mia capoccia, chiarisco fin da subito come la foto d'apertura sia soltanto l'accurata e canonica immagine di una santa affatto sconosciuta in Italia, ma assai venerata nei Paesi nordici: Santa Wirgefortis. Così lo dico a tutti: se visitando una chiesa in Germania, in Polonia, in Lituania o in Scandinavia doveste imbattervi in una croce che al posto del corpo martoriato e dolente di Cristo sostiene quello di una procace ragazza riccamente vestita e incoronata, con una bella barba nera più o meno fluente, sappiate che è tutto a posto, ed evitate svenimenti e convulsioni: si tratta solo di Santa Wilgefortis.
La sua storia fu raccontata per la prima volta dal Martirologio Romano del 1586, secondo il quale Wilgefortis sarebbe stata la figlia di un re del Portogallo vissuto nell'VIII secolo. Convertita al cristianesimo, costei progettava di dedicare la sua esistenza a Dio, ma il padre aveva ben altri programmi, e la voleva ad ogni costo maritare a qualche regnante per rafforzare il prestigio politico della propria dinastia. Concluse il pateracchio con il re di Sicilia, anche perché la figliola era di bellezza non comune e di assai leggiadri ed assennati costumi. Messa davanti al fatto compiuto, e invitata a preparare i bauli del corredo senza tante ciance, alla poverina per poco non prese un colpo. Si disperò, supplicò, pianse: ma non ci fu nulla da fare.
Dopo qualche settimana il promesso sposo, con il suo gran seguito, giunse per nave al porto di Lisbona, e le nozze furono fissate di lì a qualche giorno, giusto il tempo di darsi una rinfrescata e riprendersi dalle fatiche del viaggio. La principessa, ormai disperata, trascorse la vigilia in continua preghiera, implorando Dio di salvarla da quel matrimonio che aborriva più della stessa morte. La mattina delle nozze, oh miracolo, oh prodigio! sul volto della fanciulla era comparso un folto barbone nero ed irsuto. Quando il re di Sicilia la vide, andò ovviamente su tutte le furie, e non pensò nemmeno per un attimo all'ipotesi di ricorrere ad un buon barbiere: prese su armi e bagagli, e se ne andò sbraitando di non essersi mai sentito così offeso in vita sua, e che l'avrebbe fatta pagare cara a quei farabutti di portoghesi. Il padre di Wilgefortis, furente pure lui, chiese spiegazioni; e quell'ingenua, invece di buttarla su un'improvvisa ipertricosi da noia, spiattellò l'intervento divino dicendo en passant fosse chiaro come il sole che non si sarebbe sposata nè allora nè mai. Il crudele genitore rispose: "Se non posso disporre io del futuro di mia figlia, ebbene, nessun altro potrà farlo!" ordinando fosse messa a morte come il Dio che voleva portargliela via. Ma da principessa, però: indossando i vestiti più sfarzosi e la corona che le spettava di diritto.
Mentre rantolava sulla croce, un povero violinista girovago, impietosito, cercò di confortarne l' agonia suonandole una musica triste con il suo strumento. Al che la ragazza, scalciando con forza, gli tirò una delle sue preziosissime scarpette d'oro: non si sa bene se per ricompensarlo o per scacciare quell'importuno. Sta di fatto che nell'iconografia ufficiale è spesso rappresentata con un piede scalzo, come nella delicata scultura barocca qui sotto.
Avendo sofferto il martirio, Wilgefortis fu presto canonizzata e santificata, ed il suo culto si estese rapidamente, diventando beniamina e protettrice di tutte le ragazze costrette a sposare chi non avrebbero mai voluto; anche se la chiesa la additò piuttosto come fulgido esempio di castità difesa fino alla morte e tutelata dall'intervento divino. Non mancarono, in tempi recenti, coloro che vollero leggere nella vicenda il retaggio di culti pre-cristiani incentrati sull'Ermafrodito,
nè chi volle ravvisarvi riferimenti proto-psicanalitici ed archetipici all'androginia e al transgenderismo perseguitato, e neppure chi vi trovò forti implicazioni di un femminismo ante litteram.
In realtà l'origine del culto della santa barbuta, drag-king e immaginaria è assai più prosaico e terra-terra. E non parte dal Portogallo, ma da Lucca, dove da più di mille anni si venera il misterioso "Volto Santo". Si tratta di un grande crocefisso di probabile origine proto-romanica o ottoniana, in cui il Cristo, secondo un'inconografia insolita ma all'epoca piuttosto praticata e diffusa in tutta Europa, è rivestito da una tunica sacerdotale. Già nel corso del XII secolo una fida Relatio, per allontanare i sospetti di idolatria, affermò la natura acheropita ( non fatta da mano d'uomo) e miracolosa dell'immagine, rinvenuta , secondo i redattori, da quel Nicodemo che con Giuseppe d'Arimatea depose Gesù nel Sepolcro. Ciò contribuì alla rapida fortuna dell'oggetto, e la sua venerazione divenne una tappa obbligata per i pellegrini che lungo la via Francigena si riversavano su Roma.
Con il tempo la scabra e potente scultura romanica fu ricoperta da decorazioni e paramenti fastosi, e a partire dal XV secolo iniziò il commercio dei
souvenirs che la ritraevano, spesso in modo ingenuo o rozzo, e che i pellegrini facevano circolare in ogni angolo d'Europa.
Proprio la diffusione di questo materiale iconografico che ritraeva un'enigmatica figura barbuta e crocefissa ma ammantata di sfarzose vesti regali, così diversa dai tormentati e nudi Cristi gotici, fece nascere la leggenda della principessa barbuta e martirizzata, il cui nome Wilgefortis non era altro che la corruzione e la storpiatura delle parole
Hilige Wartz. In antico tedesco, " Volto Santo".