Una volta non c'era Halloween, e i Morti tornavano sulla Terra la notte di Ognissanti. Erano morti buoni, e non facevano paura: solo tanta compassione. Per propiziare la loro venuta tutta la famiglia recitava il rosario a luci spente, e al chiarore del fuoco morente. Poi cominciava la lunga veglia. Si mangiavano castagne bollite attorno al camino, e si beveva vino dolce lasciando una finestra socchiusa, in modo che i morti potessero entrare. E si ingannava il tempo ascoltando i racconti dei vecchi. Racconti di terrori e di magie, racconti di streghe e di masche e di creature misteriose e di spiriti: le potenze non celesti e non infernali che però convivevano con la mia gente da chissà quanti secoli o millenni. Ricordo da bambino una veglia di queste, a tener banco e a raccontare era la mia bisnonna, una che la sapeva lunga sulle bestie, sulle erbe e sulle pietre, tanto che dicevano fosse una mezza strega anche lei. Non aveva paura nè delle masche nè degli spiriti, perché sapeva come combattere e sconfiggere le une e gli altri. Ma le sue esperienze erano sconfinate, e terrorizzanti.
Ho trovato per caso un qualcosa di analogo nella testimonianza raccolta presso un vecchio ultraottantenne di Roccaverano, nell'Alta Langa. La riproduco quasi integralmente, anche se molto lunga. E' una bella lettura. Sa di castagne bollite, di vino dolce, di nebbie e di fumo. Chi ha voglia di vegliare i Morti, mi faccia compagnia.
"Io avevo quattordici, quindici anni; quando ho visto il "chiaro" avevo diciassette anni, sono del ’14, quindi… Ho visto il chiaro a Menasco, è in campagna, era un chiaro che dire non si può dire, ma si vedeva che girava alto così da terra, un metro da terra, faceva un’ombra così e chiaro tutto intorno, tutto uno splendore così. Di notte quando si girava senza luci normalmente si presentava nell rivass (il burrone, n.d.r) , in posti dove a piedi non si può neanche andare, andava veloce come uno a piedi , e poi ogni tanto si spegneva , ma un secondo eh, faceva che spegnersi, faceva soltanto un pezzetto come di qui a là, poi di nuovo faceva chiaro. Io l’ho visto, urca!, quando l’ho visto da vicino avevo una pietra da tirargli, mi è caduta di mano dalla paura. Pensavo che fosse un uomo, invece non c’era nessuno, era grosso, faceva uno splendore come una lanterna, non una luce viva, una luce un po’ come quella di un lanternino, quei lanternini di una volta che facevano una luce un po’ annebbiata, un po’ scura, una bella luce, si vedeva. Poi anche buonanima di mio papà, una volta gli ho detto: "Guarda che era sotto il rivass ". "Vado a vedere". Lui non aveva paura. Quando era sul rivass l’ha visto il chiaro da sotto che girava, poi s’accendeva e si spegneva, poi s’è girato verso di lui e lui ha avuto paura. Non si poteva capire cosa fosse. Battistino anche l’ha visto. Non si poteva capire se ci fosse qualcuno, si vedeva che c’era qualcosa lì, ma non che si potesse capire, come se ci fosse un nido, un nido d’uccello grosso, c’era un po’ di volume lì. Non era una luce come una lampadina ma come una lanterna. . Di luci così a volte c’è il sole, a volte c’è la luna che picchia in un vetro e manda splendore, ma è una luce che si conosce, invece quella là andava, nei campi, attraversava anche la strada. Una volta andando a Mombaldone, lui saliva il rivass andando su dove i nostri vicini avevano la legna , io credevo che fossero i nostri vicini, ma quello lì è salito su come niente, andava tanto forte in salita quanto in pianura e l’altezza era sempre uguale. Poi ha girato, è sceso, veniva vicino a me e io avevo una pietra da tirargli ma avevo paura, non sapevo perché… Questo è successo a Menasco; gli altri l’hanno visto altri giorni, altre sere, sempre in quel periodo ln giro, l’hanno visto giù dal Bormida, l’hanno visto sopra dallo stradone, sempre in quella zona lì.
Poi un’altra, che dicono di non raccontare: io andavo a vegliare, andavo in giro in compagnia, arrivavo a casa di notte all’una , poi mangiavo. C’era un cassetto nel tavolo e c’era della roba dentro da mangiare, accendevo il lume perché allora non avevamo la luce elettrica, e sopra dormiva mio fratello, sopra si sente un tac, tan tan tan…,c’era una stanza di là, lui apre il lucchetto, ma non c'era nessuno. Avevo sentito come dei passi, pensavo fosse qualcuno di quelli che erano a dormire che veniva a vedere. Ho perfino battuto nel tavolo, ma non si è neanche rotto. Le porte non si chiudevano con la serratura, avevano un puntello così contro la porta, se c'era qualcuno come han fatto a uscire non so, dove sono andati nemmeno. Quando mio fratello ha acceso la luce nella stalla al mattino per pulire i buoi , come l’ha accesa ha preso uno schiaffo e non c’era nessuno. Questo è successo nello stesso periodo del "chiaro" e nella stessa zona, era nella semina del grano che ha preso lo schiaffo .
Il "chiaro" sembra essere quella che qui chiamavano "lumiera", e che secondo alcuni sarebbe da collegare ai cosiddetti "fuoco fatui", fiammelle che si originano dalla combustione di gas a base di fosforo e idrocarburi.
RispondiEliminaDa come ne parlava il vecchio, e da come sentii descrivere da altri, era una cosa ben diversa dai fuochi fatui, sia per le dimensioni, sia per le modalità ed i tempi di apparizione e di permanenza, sia per gli spostamenti.
RispondiEliminaCertamente doveva essere un fenomeno fisico-chimico analogo, ma non saprei spiegarne bene le dinamiche. E mi fa comuqnue specie che dal secondo dopoguerra in avanti ne sia cessato qualsiasi avvistamento.
Ma non dimentichiamo che tra le due guerre l'Alta Langa era una terra di grande povertà. Ad esempio nei momenti di carestia o di penuria si mescolava il seme del loglio al pane: un seme che ha blande capacità stupefacenti ed è in grado di alterare la percezione della realtà. Altre sostanze psicotrope erano assunte con l'alimentazione tramite la segale cornuta o alcuni funghi non velenosi ma blandamente allucinogeni. Forse non è un caso il discrimine cronologico a cui il vecchio fa riferimento: dopo la guerra le condizioni alimentari di quelle zone migliorarono rapidamente.
insomma, per quanto possiamo essere scettici e scientisti, il fascino di certi racconti sconfina nell'arte, sia pure popolare e incolta. spiegazioni ce ne possono essere centomila, non ultima l'autosuggestione che fa adeguare la percezione alla fantasia.
RispondiEliminanoi però ce lo godiamo così com'è, e aspettiamo la giornata di domani ricordando i morti, nostri e altrui, per lo meno per i ricordi che ci hanno lasciato.
Ascoltare queste storie e riunirsi in un "religioso" silenzio, sarebbero queste le tradizioni da portar avanti...altro che dolcetti, scherzetti e mascheroni inutili.
RispondiEliminaIo ora leggo, e non potendo gustare le castagne berrò una bella tisana!
Che bello...mi accodo al pensiero di molti: sono queste le vere tradizioni che andrebbero conservate. Sanno tanto di antico, di famiglia, di ricordi indelebili...è un vero peccato che le nuove generazioni (me compreso) non abbiano la possibilità di vivere certi momenti...Grazie per questo post..
RispondiEliminaUna bellissima tradizione quella che hai raccontato, sarebbe bello tenerla viva :)
RispondiEliminaVino fin da piccolo?!
RispondiEliminaAhhhhhhh. ecco!
Ora si spiegano molte cose...
E se la tua bisnonna aveva nomea di essere strega, adesso ne comprendo ancora di più. :-)
Lo sai che pensavo la stessa cosa la notte di Halloween? Cioè.. ho pensato alla veglia dei morti che si faceva un tempo... alle antiche leggende che circolano ancora nel mio paese intorno a questa notte particolare in cui i morti spiano dalle finestre le ore dei non morti.
RispondiEliminaSai sempre regalare un pò di quel passato che mi manca tanto e che ho vissuto solo attraverso i racconti dei miei.