Genitori adorati, sorelle amatissime e fratelli carissimi,
Oggi mi trovo a presidiare il ponte della Beresina, dove a detta dei generali dell'Armata non dovrebbero verificarsi fatti d'una qualche rilevanza. Così trovo il tempo per scrivervi, ritenendo opportuno rassicurarvi in merito alla mia salute, che dopo le recenti ferite si è perfettamente ristabilita. Non posso fare altrettanto per quanto concerne questa guerra, che si annuncia lunga e dall'esito assai incerto, e che reclama ogni energia da parte di noi soldati, e la spreme fino all'ultima goccia. E non posso fare altrettanto anche con il mio morale, che lentamente si sta rannuvolando ad ogni assalto, e direi quasi ad ogni colpo di cannone. Non angustiatevi, però, e non siate tristi per me: vedrò di cavarmela anche questa volta, e salvare la mia vecchia pellaccia per cercare di rivivere ancora i tempi felici della grande casa di Vilorbskoe-Zelo. Confido, oltre che nell'aiuto del Padreterno, anche nelle braccia robuste e nel cuore coraggioso dei miei attendenti. Mi hanno di nuovo assegnato i tre affidabili fratelli bulgari della scorsa campagna: Sdrugo, Sugo e Sbrego Sodeferov, dei quali certamente vi raccontai. Qualora aveste dimenticato, sappiate che sembrano orsi siberiani tanto nell'aspetto e nella corporatura quanto nei modi bruschi e scostanti. Forse è per sfatare l'idea non troppo lusinghiera che la bassa truppa s'è fatta del popolo bulgaro, che hanno condotto con loro, convincendolo ad arruolarsi, il fratello più giovane: Ivan. Di bel viso, aperto e franco nel sorriso e nello sguardo, elegante nelle proporzioni e nei gesti, temperato ed asciutto nel fisico malgrado alcune morbidezze lombari , peraltro non spiacevoli allo sguardo, lo rivelino assai più avvezzo alla rakya che allo Champagne. Di carattere allegro e spontaneo, l'ho preso a benvolere da subito, intravedendo nella luce dei suoi occhi quella gaiezza inconsapevole e nascosta che hanno molti giovani della sua età. Ieri l'altro, durante la perlustrazione, è stato vittima di un curioso incidente, per fortuna risoltosi senza conseguenze spiacevoli. Afferrato un bel grappolo d'uva matura, lo stava piluccando golosamente quando dagli acini è partito un calabrone furibondo che lo ha punto fra mento e collo. La parte così colpita è subito gonfiata vistosamente, e i suoi fratelli lo canzonavano dicendo che assomigliava ad una grassa e rossa contadina dei monti Rodope. Ma poco dopo il poverino ha cominciato a roteare gli occhi, a respirare affannosamente, ad assumere un colorito verdastro e ad emettere una bava schiumosa dalla bocca. "Quante storie per la puntura di un calabrone!" sghignazzavano i fratelli; ma io ero davvero preoccupato. Così ho preteso che me lo issassero in sella, e tenendolo stretto mentre farneticava nel delirio, l'ho portato al galoppo all'ospedale da campo. I medici sono intervenuti subito, ed hanno detto che la mia prontezza gli ha salvato la vita. Ecco, suona il tamburo dell'adunata, e sono costretto a lasciarvi. Inoltrate i miei baci alle principessine Tinanskija Feodorovna e Anastasija Bessarionova, ed i saluti più cari a tutti gli amici che mi mancano tanto: dall'ammiraglio Marplev al duca Asashelewkj, dal conte Potowskij al ministro Ribaldjev al barone Kanarinskij, al giovane architetto Maghentieff ed al suo inseparabile Laurentij, all'altro architetto Romanov, a tutti i Simeonovic, a Serghiej Yosip, a Skramskij ed al giovane Stephanovic, e a tutti gli altri che sono costretto ad omettere, ma che porto nel cuore. Devo chiudere: miei adorati, dite a tutti loro che li penso e che vorrei essere con loro, ovunque si trovino.