martedì 31 marzo 2009

Senza parole

giovedì 12 marzo 2009

Si riparte


"Ai francesi insomma piace il buon vino, e non c'è da meravigliarsi "perché il vino dà gioia a Dio e agli uomini" come si legge in Giudici 9. Infatti il vino "allieta il cuore dell'uomo, e mette l'anima in baldanza e giocondità, e fa dimenticare tristezze e debiti, e ci fa sentire ricchi; e fa dimenticare re e magistrati e rende manifesto ogni segreto." E veramente i francesi hanno la grande passione di vuotare i bicchieri. Per questo soffrono di flussioni agli occhi, e per il troppo vino hanno occhi rossi e storti e cisposi e cerpellini. E al mattino presto, snebbiata la mente dai fumi della sbronza, con gli occhi conciati a quel modo vanno dal prete che ha celebrato messa, e lo pregano di versargli sugli occhi un po' dell'acqua che gli è servita per l'abluzione rituale delle mani. E a quelli diceva a Provins frà Bartolomeo Guiscolo da Parma, come più volte io sentii: " Alé! Ke malonta ve don Dé! Mettì de l'aighe in le vins, non in lis ocli!" Che significa : "Andate! Che Dio vi mandi il malanno! Mettete dell'acqua nel vino, e non negli occhi!"

Salimbene de Adam, "Cronica" , seconda metà del XIII secolo


Si riparte, e ancora una volta si va in ultramontanis partibus, per vedere di approfittare della grande sete dei francesi, che amano vuotare bicchieri come ai tempi di frà Salimbene.
Contariamente ad allora, i loro occhi si sono fatti belli, e fissano con fiducia, simpatia ed un pizzico di curiosità le petit vigneron italien (petit, sia chiaro, non in senso anagrafico nè altimetrico) che attraversa le Alpi per far assaggiare loro il frutto delle sue fatiche. Sarà una faticaccia, ma vedrò posti bellissimi e incontrerò gente simpatica. Vi penserò tutti, e un po' mi mancherete.
Bisous.

mercoledì 11 marzo 2009

Qui si lavora, e poche balle!




Di buono c'è che il ferreo regime quaresimale mi sta asciugando e levigando meglio delle creme miracolose di Wanna Marchi (a proposito, impareggiabile il siparietto lacrimoso della figlia Stefania al TG1 delle 20!) .
Di cattivo...tutto il resto. No, niente disgrazie, o cataclismi o sciagure. Solo l'improvvisa ed imprevista escalation di un lavoro sempre più incasinato, e di impegni sempre più pressanti.
Così arrivi alla sera e dici "O cazzo, è già sera", e ti rendi conto che avresti ancora un sacco di cose da fare e da sistemare, e al tempo stesso vorresti prendere un po' di tempo per te, per il tuo amore triste, per gli amici più cari che ormai ti danno per morto, sepolto e decomposto, per questa vita parallela di sentimenti e di affetti non meno importante e di sicuro più vivificante dell'altra, ma che ha bisogno di un minimo di dedizione e di cure anche lei, porella, sennò avvizzisce e secca. E alla fine quel poco che riesci a fare lo fai di corsa, malamente e sgraziatamente, e spesso, come dicono i veneti, il "tacòn" risulta peggiore del "buso".
Dice il saggio: "Se c'è rimedio perché t'incazzi? E se non c'è, perché t'incazzi?" Ma no, caro saggio, io mica m'incazzo! Mi addoloro soltanto, nel contemplare le mie esistenze che rotolano via così, inafferrabili come le goccioline di mercurio di un termometro rotto, senza che possa alzare un solo dito per tentare di trattenerne almeno una.
Pensare che da piccolo sognavo di fare il muratore. Sarei stato ancora più bravo di quello qui sotto.


domenica 8 marzo 2009

Il ragazzino che non giocava con le bambole


Avrò avuto otto anni quando mi innamorai di Mowgli. Si, proprio quello del Libro della giungla. La maestra ci portò a vedere il film giù in paese: una volta l'anno ci regalava una botta di vita e ci accompagnava al cinema. Io non sapevo ancora cosa volesse dire innamorarsi, ma capii perfettamente che quel pupazzetto animato era la parte mancante di me, in tutto e per tutto. E lo chiamai a diventare quella parte. Per un po' pensai si trattasse di un semplice amico immaginario: all'epoca leggevo molto, e mi ero convinto che avere amici immaginari fosse una cosa abbastanza frequente, almeno alla mia età. Poi però mi accorsi che la sola fantasia non bastava più; che sognavo occhi da fissare, voce da ascoltare, guance da carezzare, membra da abbracciare. E che tutto ciò non potesse essere di altri se non di Mowgli. Così, con l'ingenuità ed il candore dell'infanzia, quell'anno nella mia letterina a Babbo Natale chiesi un bambolotto con le sembianze del mio amato. Senza peraltro spiegargli le vere ragioni della mia richiesta, che immaginavo, lui onnisciente, conoscesse benissimo. Come d'abitudine mia mamma pretese di esaminare la lettera prima di chiuderla nella busta "per vedere se ci sono errori d'ortografia". Fece una faccia strana, come sorpresa, ma mi sorrise subito mentre diceva: " Vedi, bambole e bambolotti sono cose da femmine, e Babbo Natale è molto attento nel non fare confusione. Sarebbe meglio chiedergli qualcos'altro, per evitare il rischio che alla fine non ti porti niente". Avrei voluto obiettare che io non pretendevo nè Cicciobello nè Lavalavaleria come avevano chiesto le mie sorelle; non cercavo un giocattolo, cercavo Mowgli, o almeno un suo surrogato che in qualche modo fosse materia in grado di dare un minimo di corpo e di tangibilità ai miei sogni. Ma mi resi conto di quanto sarebbe stato difficile spiegarle un concetto che io stesso avevo difficoltà a capire, e lasciai perdere. A Babbo Natale scrissi: "Ho cercato di essere un bravo bambino, per quanto ho potuto. Tu del resto mi conosci, quindi sai quali sono i regali migliori per me. Qualsiasi cosa andrà benissimo". Avevo voglia di piangere quando la mattina di Natale scartai la Pussy22 ,
che a dispetto del nome civettuolo era l'inquietante, perfetta riproduzione di una Luger tedesca della seconda guerra mondiale. Una ferraglia nemmeno utilizzabile per giocare ai cowboy con gli amici, visto il clamoroso anacronismo e considerato che io volevo sempre fare la parte dell'indiano. Ricacciai le lacrime in gola, sparacchiai un paio di colpi per far felice mio padre ( lui sì che ci avrebbe giocato!) poi non la guardai mai più, lasciandola arrugginire in un cassetto.
Capii che i sogni non vengono mai esauditi dall'alto, ma che vanno coltivati con pazienza e sacrificio, senza sperare nemmeno un istante nella loro possibile realizzazione, ma senza per questo rinunciarci. Imparai a costruirmi arco e frecce, poi lancia e scudo; e seminai il terrore fra il Little Big Horn e le Rocky Mountains. A Mowgli dissi addio qualche mese dopo, giurando che l'avrei avuto per sempre nel cuore, ma spiegandogli perché quel nostro strano rapporto non avrebbe potuto continuare. Un po' vigliaccamente non gli dissi che avevo messo gli occhi su Telemaco, il ricciuto figlio di Ulisse nell'Odissea trasmessa in tivù. Telemaco aveva labbra carnose, sguardo perennemente corrucciato e indossava minituniche vertiginose. Era molto più grande di me, ma vederlo mi faceva vibrare lo stomaco in un modo mai provato prima.
Perché racconto queste cose? Perché ho scoperto questo filmato dei Sigur Ros, "Viorar vel til loftarasa" . La musica non mi dice nulla ; ma la storia struggente di bambolotti, di ragazzini e di destini, come al solito, ha acceso la miccia collegata alla santabarbara dei miei ricordi . BOOM!

lunedì 2 marzo 2009

Un tiramisù, grazie!


La bellezza ha sempre un effetto rasserenante, confortante ed euforizzante; almeno quando non è eccessivamente conturbante e non crea ansie o frustrazioni. Per iniziare una settimana difficilissima mi rassereno, mi conforto e mi euforizzo con la bellezza acqua e sapone di Ivan Olita, ventunenne modello italo-russo che, a quanto dicono, unisce ad un'innegabile avvenenza anche altre doti non comuni.