mercoledì 6 giugno 2012

De insula Sardiniae



Mi ero innamorato della Sardegna una vita fa. Uno di quegli amori improvvisi e violenti, che ti segnano la vita e rimangono lì, inossidabili e indistruttibili forse perché mai messi alla prova. Mi ero innamorato di un'Arcadia immaginaria e feroce fatta di mamuthones, ardìa, componidori, tenores, launeddas, procurad' e moderare barones sa tirannia, canne al vento, Elias Portolu, pabassinas e cordula, balentes, vertiginose solitudini e altre cose del genere. Credevo che tutto rimanesse allo stadio di una personale ed artificiosa mitologia finchè la vita, o chi per essa, mi ci hanno portato quasi a forza. Costringendomi, per mancanza di tempo, ad un assaggio superficiale ed imperfetto.
E quindi:
zero nuraghi, zero domus de janas, zero Goceano, zero Campidano, zero Marmilla, zero Ogliastra, zero Barbagia di Ollolai ( luoghi dove uno dovrebbe andarci apposta già solo per la bellezza dei toponimi);
tenores sentiti di sfuggita alla televisione, in albergo (cambiato canale prima di scoprire che si trattava della pubblicità di un ristorante tipico);
zero di tutta quella mitologia autocostruita, che perciò continua ad essere tale, per fortuna.
E però:
la scoperta di una città inaspettata come Cagliari, che, forse perché così lontana dalla mitologia di cui sopra,  non avevo mai preso in considerazione e che ho trovato invece bellissima, un po' Lisbona, un po' Barcellona, un po' Pamplona; per niente levantina, cordiale, profonda, accogliente, dolcemente  sensuale.
La scoperta, a latere,  di una Sardegna primigenia e non antropizzata, pre-culturale e pre-sarda, assoluta nella sua bellezza violenta e brutale senza mediazioni, scarnificata fino all'osso dei Quattro Elementi che la compongono: Aria, Fuoco, Terra, Acqua.
La scoperta di chi me l'ha fatta scoprire; e più che una scoperta è una conferma, visto che questo paziente Orfeo sta lavorando di buzzo buono per restituirmi un po' di quella natura divina alla quale credevo di aver rinunciato da tempo.
Il riaffiorare di quella natura divina, che poi ti accorgi non essere altro se non lo stare bene con te stesso attraverso qualcun altro che potrebbe dire altrettanto di se stesso.
E dunque:
un altro pezzo di presente, che per chi ne è stato privato troppo a lungo equivale ad un pezzo di eternità;
un altro pezzo di bel presente, che non brucia e non si autoconsuma nel suo trascorrere, ma che è tutto fieno in cascina per i prossimi autunni.

mercoledì 30 maggio 2012



Dialogo tra Babieca e Ronzinante

Babieca: Vi trovo, Ronzinante, malandato!
Ronzinante: Per forza! Non si mangia, 
e sempre  si travaglia!
B: Scusate, ma non bastan biada e paglia?
R: Non me ne lascia il padron mio amato.
B: Ehilà,  Signor, ma siete screanzato!  
La vostra lingua è d'un caval che raglia!
R: Asino è lui, e a dirlo non si sbaglia; 
dovrebbe veder com'è innamorato.
B: Ebben? Che c'è di male?
R: Non è saggio.
B: Metafisico siete!
R: Per la fame.
B: Ditelo allo scudier.
R: Non è bastante.
E poi, di lamentarsi chi ha il coraggio?

Se il mio Padron e il suo servidorame,

ben più ronzini son di Ronzinante?

giovedì 2 giugno 2011

Unter den Linden





Lui - una parola
Io - una parola
E l'autunno incalza

Takahama Kyoshi

Per fortuna da qualche giorno sono fioriti i tigli, ed il loro profumo, che adesso sotto queste strane e fresche pioviggini quasi non si sente, fino all'altra sera mi inondava di un qualcosa molto somigliante ad una felicità sognata a lungo, e raggiunta solo per caso.
Il profumo dei tigli, di questi tempi, è uno dei pochi balsami per l'anima che posso ancora permettermi. Sapendo che durerà poco cerco di farne incetta e riserva respirandolo a pieni polmoni, denso e grasso, nel viale giù in paese; o quasi indovinandolo quassù sul bricco tra i mille altri sentori trascinati dalla brezza notturna : cosa un po' stupida, visto che il ricordo delle felicità perdute o negate non è mai così bello e così utile come si penserebbe. Soprattutto se manca la speranza di poterle rivivere. Ma non ho altro modo per calmare le crisi d'ansia e di sconforto che da qualche settimana mi assalgono a ondate cicliche e frequenti; e se non le calmo mi viene da rintanarmi in solitarie ed irraggiungibili forre mentali che conosco solo io: in attesa che passino, sì, ma col rischio di non riuscire poi a ritrovare la strada del ritorno.
E non so per quanto tempo ancora potrò continuare con questi andirivieni e con questo giocare a rimpiattino con me stesso.
Mi sto logorando.
Troppo.
Per niente.
Ripeto tutto il giorno le parole di Rabbi Hillel: " Se non sono me stesso, chi lo sarà per me? E quando sono me stesso, chi sono? E se non ora, quando?" Ma è come un esicasmo alla rovescia.
Finché posso, mi dimentico nei fiori di tiglio.




mercoledì 11 maggio 2011

Auguri, Poto!



I tuoi calmi spettacoli. La vita.
L'amore che li lega. Sole sul colle.
E più tardi la luna. Aiuto, aiuto!


(Sandro Penna: "Croce e delizia", Milano 1958)



Mi sembra sia tutto racchiuso in questa poesia che gli somiglia, e che trovo deliziosa, elegante, leggera come un plenilunio e vertiginosa come un abisso invitante, come le pieghe quasi inavvertibili, ma infinite e roride e salvifiche nell'abito dell'auriga di Mozia.
Boccaccia mia statte zitta, và!
Tanti auguri, caro Poto.



giovedì 14 aprile 2011

Ill ha Gwilen



Come un vecchio centurione, rifaccio il fagotto e partirò prima dell'alba. La strada da fare è davvero tanta, ma come un vecchio centurione non mi impressiono più. Neanche sapendo di andare fino dove il mondo finisce, o poco prima.
Come un vecchio centurione mi sto abituando alle cicatrici antiche e recenti, e non ho nemmeno più voglia di esibirle ai giovani legionari, e di gloriarmene. Come un vecchio centurione, poco alla volta sto dando addio ai sogni, e mi accontento di pensare che ci saranno altri giorni, altre voci, altri risvegli, altre strade da calpestare, altri accampamenti da tirar su e poi da smantellare. E ci saranno altre guerre ed altre ferite, ed altre cicatrici; e tutto sommato è bene che ne arrivino: quando dovessero cessare sarò cessato anch'io.
Come un vecchio centurione sto diventando duro con me stesso. Sarà perché mi faccio rabbia al punto di maltrattarmi.
Che i penati mi siano favorevoli durante il viaggio. Che i lari rendano lieve il ritorno.

mercoledì 30 marzo 2011

Comunque vada...




...sarà un successo. E le vittorie che contano sono queste. MERDAAAAA!

giovedì 17 marzo 2011

Mes meilleurs salutations



Domattina molto presto parto e vado qui per qualche giorno. Tra una cosa e l'altra sono dieci ore di viaggio, poi mettici le soste e i rifornimenti, poi mettici che mi ricapiti come all'Autogrill milanese (la seconda parte della storia al mio ritorno) : insomma, di tempo ce ne vuole. Oltretutto viaggio solo, e mettici anche il rischio dell'abbiocco, visto che le autostrade francesi sono belle ma spesso monotone, e le radio francesi un vero disastro.
La meta è un bel posto, una terra magica e affascinante, tante belle cose da vedere (e che io non vedrò, mica c'ho tempo), gente civile, cordiale e simpatica; ed i soliti amici del circo di cui faccio parte. Malgrado tutto un po' d'ansia per il viaggio c'è sempre, e per di più parto non sereno e sul nuvoloso andante (sai che novità) per via delle solite concomitanze e della mia conclamata abilità nel complicarmi la vita.
Chi indovina la mia destinazione, l'anno prossimo lo porto con me, e per premio gli lascio caricare e scaricare il furgone. Ovviamente chi la destinazione la conosce già è escluso dal concorso. State bene.



mercoledì 16 marzo 2011

Festa fuori luogo



Mai capitato di partecipare ad una festa del tutto fuori luogo? Una festa che pur avendo validissimi motivi per svolgersi risulta sbagliata nel contesto, nell'organizzazione o nella localizzazione? Io sono molto contento che il nostro Paese festeggi questa sera l'anniversario della sua unione; e sono rimasto commosso nel vedere le case della mia cittadina paludate di tricolori molto più di quando si vinsero i Mondiali; e mi fa piacere in questo momento sentire la fanfara fin da qui, segno che il brutto tempo non è bastato a tenere a casa la gente.
Però diamine, i conti non mi tornavano. Il 17 Marzo 1861 Cavour proponeva al voto delle due Camere riunite del Regno di Sardegna un Disegno di Legge costituito da un unico articolo: "Il Re Vittorio Emanuele II assume per se e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia". Angelo Brofferio, capogruppo della Sinistra parlamentare dalle forti simpatie repubblicane, minacciò di mandare a monte l'esito plebiscitario desiderato da Cavour, pretendendo che fosse inserita la frase: "per volontà del Popolo italiano". Dopo qualche schermaglia ritirò l'emendamento per non infrangere proprio in quel giorno il clima di concordia nazionale che sembrava crearsi.
Ma quel giorno fu solo l'inizio del Regno d'Italia, fra l'altro non più esistente dal 1946; Regno ancora incompleto, la cui effettiva unità fu raggiunta solo il 20 Settembre 1870 con la definitiva conquista di Roma. Certo, quel che conta è l'intenzione; ma festeggiare domani il centocinquantenario dell'Italia unita è storicamente scorretto e fuorviante. Si sarebbe dovuto festeggiare tra nove anni, insomma; e vedremo se all'epoca qualcuno se ne ricorderà.
Dice: "Embè? Cosa cambia? L'importante è che si celebri l'identità nazionale, le radici da cui veniamo, etc. etc". Cambia sì, perché la presa di Roma fu la definitiva sconfitta di quel Papato che si oppose strenuamente, e fino all'ultimo, al progetto di unificazione italiana, e che in seguito avversò e scomunicò tutti i cattolici desiderosi di impegnarsi nella vita politica del nuovo Paese; di quel Papato il cui attuale rappresentante, con notevole faccia di bronzo, vorrebbe prendersi un bel po' del merito di quell'Unità un tempo ferocemente combattuta. Invito a leggere questo gran bel pezzo di Malvino, in proposito.
Intendiamoci: chi ha esposto la bandiera alla finestra, beh, ha fatto bene lo stesso; però passata la festa la riponga con cura, che tra nove anni tornerà di nuovo utile.

martedì 15 marzo 2011

Saluti dal Giappone


Si, avrei dovuto continuare il racconto della mia boccaccesca avventura. Ma poco fa è arrivata una email da parte di Keiko, una ragazza minuta e gentile che lavora per il nostro importatore di Tokio. Parla bene il francese, e così trattiamo praticamente solo con lei; e la vediamo abbastanza di frequente in giro per fiere e rassegne. Le avevamo scritto subito dopo le prime notizie del terremoto, quando le cose non sembravano ancora così terribili. Sulle prime aveva risposto rassicurandoci che tutto era sotto controllo; oggi ha scritto di nuovo, molto più preoccupata. La sua lettera è un pezzo di vita vera, quella vita che le sole immagini dei telegiornali sembrano ridurre a mero spettacolo.
Ho deciso di riportarla qui, integralmente.
Coraggio Keiko, coraggio Giappone.

" Carissimi,
Vi scrivo per aggiornarvi sulla situazione disastrosa del Giappone.
Ci sono allarmi e preavvisi di scosse quasi ogni ora, e si può immaginare come stiamo vivendo.
E' terrificante, abbiamo perso ogni parola davanti a questa catastrofe, fra colleghi e in famiglia quasi non si parla se non lo stretto necessario per comunicare.
Molti di noi sono partiti verso Sud, per proteggere i propri cari dalle radiazioni, dicono che stanno diventando di ora in ora più preoccupanti.
Matsuki ha già mandato la sua famiglia a Sud, e si sta preparando a raggiungerla in macchina, con i treni non è detto che sia possibile. E non è detto che troverà benzina sufficiente durante il viaggio.
Ideoshi per fortuna ha poi trovato i suoi famigliari a Shizuoka, e sono al sicuro.
Naruto invece è molto preoccupato, i suoi sono sfollati e non riesce a comunicare con loro. E sua madre è ferita abbastanza gravemente.
Nell'insieme sembra che i nostri clienti siano tutti salvi, ma purtroppo non abbiamo ancora notizie dei ristoratori e degli enotecari delle regioni più disastrate.
Spero che riusciremo a contattarli a più presto, e mi auguro soltanto che siano sani e salvi.
E' tutto. Per il momento, la situazione è decisamente grave, e ancora impossibile da valutare: i dati che ci vengono comunicati si evolvono molto rapidamente. I prossimi giorni rischiano di essere molto difficili, perché moltissima gente sta cominciando ad abbandonare Tokio per paura della radioattività.
Vi ringrazio tanto per i vostri messaggi, li ho fatti leggere a tutta l'équipe ed ai clienti, affinchè sappiano che siete loro vicini e li pensate.
Ancora grazie infinite per il vostro sostegno.

Keiko Noshiguki"




lunedì 14 marzo 2011

Le tentazioni di Sant'Antonio



"Scusa, hai una sigaretta?"


Lo sto guardando da un po'. Di sottecchi, da sopra il giornale. Sui trentacinque, moro, alto come me, e snello. Barba di una settimana, curatissima, che gli affila il viso e gli dà un non so che di sulfureo. Duvet fighetto, jeans slim fit che strizzano forme non statuarie ma comunque ammirevoli. Sneakers di marca, e una sciarpa di seta grigia accuratamente drappeggiata; e occhiali da sole a goccia, del tutto fuori luogo in quel crepuscolo piovigginoso. La Wanda, che ama le espressioni desuete e un po' retro, lo definirebbe "un bel bocconcino".

"Mi spiace, non fumo."

Ogni volta che finisco il mio giro di consegne senza intoppi e senza disguidi, mi premio con una Corona Extra e la lettura di un giornale in qualche Autogrill sulla strada del ritorno. Curioso: in questo non mi ero mai fermato. E ancora più curioso: malgrado sia su una tangenziale trafficatissima non c'è quasi nessuno. Prendo la mia Corona Extra e il mio giornale, esco e mi piazzo sotto la breve tettoia laterale che guarda il parcheggio angusto e semideserto. Due desolate cabine telefoniche che nessuno usa più. Il mio furgone. Tre macchine. Die Tir imponenti e silenziosi, un po' più in là. E lui.
Io devo avere la faccia dei giorni peggiori: la stanchezza, la malinconia che non mi molla, i soliti pensieri che fanno ressa. Mi sorprende che mi dia del tu. Ma siamo democratici, no? E sotto sotto mi fa piacere.

"Vabbè, non importa."

E' arrivato dopo di me, col passo lento di chi non sa bene cosa fare per ammazzare il tempo. Adesso compulsa senza interesse lo schermo di un Iphone. Soprappensiero, tira fuori di tasca un pacchetto di Marlboro, lo apre con la mano sinistra, lo porta alla bocca, ne sfila una con le labbra e torna a girarsi verso di me.

"Scusa, hai da accendere?"

Questo è scemo, penso.

"Ma ti ho detto che non fumo, no?"

"Ho capito, mica sono scemo. Ma anche se non fumi magari hai un accendino, no?"

Effettivamente il ragionamento non fa una grinza.

"No, mi spiace. Non ho un accendino."

Fruga in tasca, tira fuori un accendino e si accende la sigaretta. Sbalordisco.

"No ma allora mi prendi in giro!"

Fa un sorriso, senza guardarmi. Sorridendo gli si forma un ventaglietto di rughe tra gli zigomi e le tempie, che lo rendono ancora più bello.

"Eh, tranquillo, era solo per attaccare bottone!"

Come mai mi fischiano leggermente le orecchie? E come mai non so cosa rispondere?

"Ah. Attacchi bottone con tutti?"

"Solo con quelli che mi guardano come mi guardavi tu."

Tachicardia, giacomo-giacomo alle gambe, gola secca. La mia antica timidezza, mai completamente domata, in frangenti come questo risale il pozzo in cui ho cercato di confinarla.
Lui dice qualcosa sul tempo, sul suo lavoro di rappresentante, se seguo il calcio. Rispondo a monosillabi, o forse a grugniti.

"Senti, ci divertiamo un po'?"

Si è tolto gli occhiali per dirlo. Ha occhi incongrui. Me li aspettavo neri, luccicanti e maliziosi. E invece sono di un marroncino piatto e monocorde. Ma belli, a modo loro. Ora che ha scoperto le carte non lo temo più, e riprendo un po' di verve.

"Sì dai. Hai i racchettoni? O preferisci una partita a briscola?"

Sorride di nuovo, e fa l'occhiolino.

"Sarebbe meglio scopa."



(fine della prima parte)

venerdì 11 marzo 2011

Tsunami



Sì, è vero, è stato un disastro spaventoso. Anch'io ho provato un sincero cordoglio per le molte vittime di questa catastrofe. E lo ammetto, anch'io sono rimasto impressionato dai filmati che mostravano la spaventosa potenza distruttrice dell'onda assassina; e mi sono preoccupato ad apprendere che la stessa potrebbe investire altre zone del Pacifico anche molto lontane dal suo epicentro. Ma tracannare il Lexotan a boccia perché tua figlia (e mia sorella) Lunedì sarà a San Francisco... dai, mi sembra francamente eccessivo.



giovedì 10 marzo 2011

Oggi sposi

Wes and Mark from Key Moments Productions, Inc. on Vimeo.



Lo so, lo so: fosse capitato a me, sarebbe piovuto a dirotto tutto il giorno. Il nipotino avrebbe fatto indigestione di caramelle e avrebbe avuto le convulsioni con gran spavento di tutti. Mio padre, ritardatario cronico, sarebbe arrivato verso fine cerimonia; lui serafico e flemmatico, e mia madre trafelata, furiosa e in lacrime. "O cazzo, gli anelli!" ; "Cooosaaaa??? Ma non dovevi pensarci tuuuu???". Quei disgraziati degli amici, invece del riso, mi avrebbero tirato un gavettone da cinquanta litri di inchiostro blu pensando di non colpirmi; e invece centrandomi benissimo, rovinandomi per sempre il bell'abito che costava un Perù e costringendomi ad un'ora buona di abluzioni fuori programma prima del banchetto. Banchetto che in molti avrebbero ricordato a lungo: forse gli scampi, forse l'insalata russa, forse la panna della torta nuziale, ma un buon terzo degli invitati distrutti dalle coliche intestinali e dalla dissenteria di una forte intossicazione alimentare.
Però è un sogno che ho cominciato ad avere dall'età di otto anni; e che giorno dopo giorno, anno dopo anno, è diventato il più proibito ed il più irrealizzabile di tutti.
Così, da quella vecchia zitella acida che sono diventato, quando vedo qualcuno che invece ce l'ha fatta nel migliore dei modi commento ad alta voce: "Dura minga, non può durare: tempo un anno e divorziano, lo sanno tutti che è un matrimonio d'interesse. E poi, via, ma lo avete visto lo sposo? Quello tra un mese ha più corna di un cesto di lumache". Poi corro a chiudermi in bagno, prima che qualcuno veda le lacrime.

(Grazie a River per il filmato)


mercoledì 9 marzo 2011

La Russa, ancora.


No, non quello che raglia e tira calci. Ancora l'insalata di cui parlavo prima.
Dunque, l'insalata che noi chiamiamo "Russa", si chiama "Italiana" nella sua terra d'origine, ma anche in Scandinavia; "Piemontese" in Francia, "Salatka" in Polonia e "Polacca" in parte della Germania, "Imperiale" o "Castigliana" in Spagna. Quanto basta per far perdere la tramontana, e al tempo stesso dar vento alle vele delle più bislacche illazioni che da sempre navigano nel mare della gastronomia. Così si dice ad esempio che il piatto fu inventato dai cuochi milanesi di Bona Sforza, la quale, diventata regina di Polonia e granduchessa di Lituania nel 1518, lo avrebbe trasportato in riva al Baltico da dove molto più tardi si sarebbe trasferito alla Russia di Pietro il Grande. Peccato che nel XVI secolo la maionese, ingrediente fondamentale della ricetta, non esisteva ancora. Altri attribuiscono la paternità dell'insalata ad un cuoco piemontese di Casa Savoia, che l' avrebbe preparata la prima volta in occasione di un banchetto offerto agli ambasciatori russi; senza peraltro ricordarci il nome del benemerito. Altri ancora la identificano con l'insalata "Genovese" già in voga nel XVIII secolo, che però, benchè composta di verdure miste lessate, era condita con la salsa verde.
In realtà la sua origine va senza alcun dubbio ricondotta ad uno chef francese, di nome Lucien Olivier, che verso la metà dell'Ottocento dirigeva il ristorante Hermitage di Mosca. Costui in quegli anni escogitò un piatto sfarzosamente degno della sua clientela aristocratica: verdure lessate e tagliate a dadini, arricchite con storione salato, gamberi, caviale, tartufi, lingua di vitello ed altre carni; tutto delicatamente avvolto e legato da una maionese agretta, e servito sotto gelatina, in forma di aspic. I ricconi moscoviti andarono in visibilio; e fu il trionfo. I clienti dell'Hermitage erano poi gli stessi che andavano a svernare in Costa Azzurra, soprattutto a Nizza, in Liguria tra Bordighera e Sanremo; portandosi dietro i racconti estasiati della Salade Olivier, e tentando di farla riprodurre dai cuochi rivieraschi. Molto probabilmente con scarso successo, visto che la ricetta originale era mantenuta segretissima, e gli ingredienti necessari difficilmente reperibili; però tutto lascia pensare che quei tentativi di imitazione, lungi dal risultare maldestri, acquisirono subito una propria dignità, al punto da irradiarsi rapidamente per ogni dove.
E' altrettanto probabile che la versione italiana, riveduta, corretta e alleggerita della Salade Olivier sia stata elaborata proprio in Liguria e immediatamente passata in Piemonte, dove ancora ai tempi dei miei nonni si chiamava "Salada à la Rousse" replicando idiomaticamente l'aulica dizione francese. Seguendo le tappe dell'Unità d'Italia, nel 1881 è ormai a tutti gli effetti un piatto a diffusione nazionale, pur conservando ovunque il nome originario. In quell'anno è Pellegrino Artusi a dare la ricetta dell'Insalata Russa, chiosando che "è ora di moda nei pranzi, e conservatone il carattere fondamentale, i cuochi la intrugliano a loro piacere" lasciando intendere quanto fosse già diversificata nell'uso comune. La ricetta artusiana è ritenuta dal suo Autore, che pur ne dichiara la complessità, "una delle più semplici"; prevede patate, carote, fagiolini e barbabietole, tutto lessato e tagliato a dadini piccoli, più insalata verde a listarelle, uova sode, acciughe sminuzzate e cetrioli sottaceto a rondelle. Dopo il condimento con la maionese, il composto è montato e servito in gelatina in forma di aspic.
Pochi anni dopo l'Insalata Russa che si preparava in Piemonte era già ben altra cosa, assai più semplice, fresca e immediata; ed è proprio dal Piemonte che questa nuova versione tornò al suo punto iniziale di irraggiamento, cioè la Costa Azzurra; che ci mise del suo, forse anche in omaggio alla ricetta originaria, ma la chiamò "Salade Piemontaise", diffondendola in tutta la Francia dove ancora oggi è molto amata. Rispetto alla nostra, si nota un minor numero di verdure ma la presenza di uno o più tipi di carne: generalmente prosciutto cotto, o pollo, o wuersteln. Assai più "italiana" è la "Ensalada Rusa" spagnola, di sole verdure e maionese. Durante il regime franchista dovette cambiar nome per non ricordare l'aborrita patria del Comunismo, e si chiamò "Ensalada Imperial", o più limitatamente "Castellana", perché gli spagnoli dell'epoca erano convinti di averla inventata loro. E la ricetta russa di nome ma ormai italiana di fatto, con poche modifiche raggiunse e colonizzò rapidamente anche la terra d'origine della Salade Olivier, sostituendosi completamente ad essa grazie alla sua facilità di preparazione ed alla sua economicità, diventando così la Talijianska salata oggi diffusissima.
Ora, non lo dico per sciovinismo gastronomico, ma è indubbio che l'Insalata Russa preparata secondo la ricetta affermatasi in Piemonte dall'inizio del Novecento è la migliore delle molte versioni esistenti in giro per il mondo.
Ecco il suo segreto: oltre alle verdure lessate, che qui sono patate, carote e pisellini fini, si usa una buona quantità di giardiniera, lavata dall'eccesso di acido e tritata a dadini piccoli; e in più si aggiunge tonno sbriciolato e capperi dissalati tritati finissimi. Si ha così un risultato decisamente più interessante sia nella consistenza, che alterna il morbido delle verdure al croccante della giardiniera, sia nel sapore decisamente più ricco e pieno.


(La foto in alto non è presa a Mosca, ma nella cattedrale ortodossa di San Nicola a Nizza Marittima; fu costruita entro il 1912 a spese dello zar Nicola II Romanov, e a beneficio dei molti nobili russi che da tempo andavano a svernare in Costa Azzurra; gli stessi a cui si devono le origini dell'Insalata Russa)


martedì 8 marzo 2011

Insalata russa




Ci sono periodi in cui quer pasticciaccio brutto che è la mia vita mi sembra ancora più brutto del solito. Siccome non posso fare praticamente niente per cambiarla, mi dà molto fastidio lamentarmene con gli altri. E mi dà fastidio parlarne, nel timore che, facendolo, le ferite inopinatamente riaperte e di nuovo suppuranti diventino ancora più dolorose. Così mi nascondo, mi nascondo un po' a tutto quel che mi definisce; come se, negandomi al mondo, riuscissi a fuggire dal me stesso che odio. Non è saggio, non è sano: è pavloviano.
Sono rientrato dalla Francia giusto una settimana fa, e sia pure obtorto collo ho dovuto subito vedermela con the Big One, il cataclismatico raffreddore-più-forte-dell'anno, che non so bene se attribuire alla malefica e diaccia pioggerella lorenese o alle conseguenze psicosomatiche delle mie miserie interiori. Tant'è. Oggi, dopo una settimana, ho ripreso il furgone per una consegna in Liguria. Dopo qualche decina di chilometri, quando il riscaldamento è andato in pieno regime, ho cominciato ad avvertire un fetorino non particolarmente intenso ma pungente. Una puzzetta leggera di decomposizione, a metà strada tra il topo morto ed i liquami della fossa biologica. Cos'è, cosa non è, al primo autogrill mi fermo per l'ispezione. Nessuna cadavere; solo, dietro al sedile, era rimasta per un'intera settimana la borsa con i resti delle vettovaglie che durante il lungo viaggio oltralpe dovevano servire ad affrancarmi dai tristi e costosissimi sandwiches preconfezionati degli autogrill francesi. E i due panini superstiti, copiosamente farciti di insalata russa casalinga e ben protetti dal Domopack, in una settimana avevano dato vita ad una civiltà molto progredita e tecnologicamente avanzata, al punto da dover sopportare i problemi di polluzione atmosferica e di inquinamento ambientale tipici di ogni incontrollato boom demografico. Buttando ogni cosa nel cassonetto, non pensavo tanto al fatto che stavo distruggendo sul nascere una civiltà in grado di colonizzare l'intero pianeta, quanto ai drammatici pericoli insiti nella mia crescente perdita di contatto con la realtà. E chi ritenesse eccessivo tanto arrovellamento per due panini dimenticati, è solo perché non ha mai assaggiato l'insalata russa che fa mia madre.
Questa sera ho festeggiato la fine del Carnevale con un manzo incredibile. Oddio, avrei preferito andare al concerto, praticamente dietro l'angolo, di una cantante nana, australiana e con un corpo strepitoso (corpo di ballo, intendo); ma siccome ero a Genova, e la nana a Milano, ho dovuto accontentarmi della costata ai ferri. L'ultima, che domani riparto con la Quaresima pre-tridentina, e chi s'è visto s'è visto: addio ciccia, addio salciccia, addio caci e scamorze.
Magari la santa astinenza e la mortificazione della carne mi snebbieranno il cervello, hai visto mai.
Una cosa è certa: se mi sono perso, è ora che cominci a darmi da fare per ritrovarmi, perché così non si va avanti.
Così ho deciso di unire ai supplizi corporali anche un ferreo regime spirituale: per tutta la durata della Quaresima mi costringerò a vergare almeno un post al giorno, con la sola ed ovvia eccezione delle trasferte extra moenia. Ogni giorno mi costringerò a coltivare la parte più vera di me, anche soltanto regalandole un pensiero, visto che, come dicono tutti ,"quello che conta è il pensiero!".
Memento omo, quia pulvis es et in pulverem reverteris.





sabato 19 febbraio 2011

Le dit du singe






Cy se replique en italien le Dit du singe noté cy devant en francois



Noté ben tucc ista burgà:
gli usurer mangion la brigà,
ma son pur gli usuré ancour lour
mangià da y princi e superiour.

Princi dai preive son mangià
et putain mangion preive et frà;
Rufiayn apres mangion putain
et taverner mangion rufiayn.

Cativ pagau pos au derrer
son coi chi mangion i taverner,
et pos saran i cativ pagau
mangià day sbirry, et pellucau.

E i sbirry enfin mangià dai pioeuj
e i pioeuj dal sumie, si ch'a l'euj
qui se deschiaira pr'y nosg vers

che sia per long o per travers
al mond ognun che mangia o rumia
passa infin pr'an del cul d'la sumia.










domenica 6 febbraio 2011

Impero basso



Non è una novità che l'Italia degli ultimi decenni assomigli sempre più all'impero romano della decadenza, con un ceto dirigente che si avvoltola protervo nel fango della corruzione, della dissolutezza e del vizio, e con un popolo che, lungi dal contrastarlo e dal richiamarlo all'ordine, in gran parte lo legittima adottandone con entusiasmo i suoi disvalori, le sue sordidezze e le sue nequizie, privo di altri slanci e altri ideali che non siano il soddisfacimento dei propri istinti più bassi e la tacitazione delle proprie più irrazionali paure.
Immobilizzato in casa da una fastidiosa influenza, in questi giorni sono andato a rileggermi gli Epigrammi di Marziale, che del " basso impero" romano fu uno dei più spietati e feroci fustigatori. Lo avevo letto tantissimi anni fa, e all'epoca mi sembrava una cosa impossibile che una società potesse ancora raggiungere simili livelli di degrado: ero giovane e ingenuo, e mi sbagliavo. A quei tempi lessi una versione edulcorata e purgata; solo molto più tardi scoprii il Marziale sboccato e pornografico, ed il mondo torbido e vischioso delle crapule e delle sfrenatezze sessuali sfacciatamente esibite, di cui, criticandole, se ne faceva inconsapevole cantore. Riporto alcuni epigrammi di argomento crudamente omosessuale, che andrebbero fatti leggere a chi rimpiange i bei tempi antichi quando "certe schifezze non esistevano"; e che dimostrano come da duemila anni a questa parte non si sia più inventato niente.
Tenete lontani i bambini!










Telesina per moglie non la voglio,
perché è puttana. Però la dà ai ragazzi.
Se ci sono i ragazzi, allora la voglio!

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Se alle terme, o Flacco, sentirai
un lungo applauso, sappi che in quel luogo
il cazzo di Marone ha fatto ingresso.

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Eri ricco, una volta, ed inculavi
i ragazzi; nè conoscesti donna per gran tempo.
Ora che un soldo non hai, vai con le vecchie.
E' la miseria, che ti fa chiavare.


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Vacerra, sei un bugiardo ed un infame
calunniatore; vivi di frodi e traffici;
succhi i cazzi e sei pure consulente
di teatro. E non hai soldi, e questo è strano.


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Vedi, o Deciano, quell'uomo
dai capelli arruffati,
del quale temi il sopracciglio severo,
che sempre cita gli eroici Curii
e i difensori Camilli?
L'austero suo aspetto non ti inganni:
ieri era donna.

****






Sessanta ne hai, fra ragazzi e ragazze,
e un cazzo solo, e flaccido. Come farai?


****


Al tuo amichetto fa male il cazzo
e a te il culo, o Nevolo.
Non sono un veggente, ma so il perché.


****


Hai venduto, o Labieno, tre poderi.
Hai comprato, o Labieno, tre bei culi.
Ti inculi, o Labieno, tre poderi!

****



E petto, e gambe, e braccia depilate,
o Labieno, tu offri alla tua amica, e tosi
senza pietà (lo sanno tutti, ormai)
il pelame al tuo cazzo circonciso.
Ma il culo ben rasato, a chi lo dai?

****


A farti fare il culo tu ci godi,
Pàpilo, ma poi piangi. Ti lamenti
d'aver ciò che volevi, e il rimorso
dell'oscena voglia ti prende?
O invece non sei sazio, e perciò piangi?




Non ti biasimo per le notti che passi,
o Gauro, a ubriacarti: lo faceva anche Catone.
Per i versi che scrivi in sprezzo ad Apollo
ed alle Muse: imiti Cicerone.
E copi Antonio quando vomiti, e Apicio
ogni volta che ti riempi di cibo.
Ma quando succhi il cazzo, a chi ti ispiri?

****



Nàsica il pazzo abbranca il servo di Eucto,
l'alienista, e se lo incula. Ma allora non è pazzo!

****



Afro, duro fra i maschi, ha preso in moglie
il barbuto Callistrato, con rito uguale a quello
che ogni vergine lega al marito. Guizzarono torce,
era velata la sposa, a Talasso
s'elevarono gli inni. La dote
era già stabilita. Non ti sembra, o Roma,
che sia normale questa coppia?
O pretendi pure che ti faccia un figlio?








mercoledì 26 gennaio 2011

Il giorno della Memoria labile





"C'è un tempo per tutto, ogni cosa sotto il cielo ha il suo momento: un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per piantare e un tempo per sradicare ; un tempo per uccidere e un tempo per salvare; un tempo per distruggere e un tempo per costruire; un tempo per piangere e un tempo per ridere; un tempo per il cordoglio e un tempo per ballare;un tempo per gettar via pietre e un tempo per raccoglierle; un tempo per abbracciare e un tempo per non farlo; un tempo per cercare e un tempo per perdere; un tempo per conservare e un tempo per buttar via; un tempo per strappare e un tempo per cucire; un tempo per tacere e un tempo per parlare"
Qoelet, 3: 1-2


A tutti quelli che furono distrutti perché erano come me. Ebrei. Rom e Sinti. Omosessuali. Oppositori politici. Disabili fisici e mentali. Testimoni di Geova.


«Lavoravamo nella cava di pietra in condizioni impossibili, sotto la minaccia costante dei fucili delle SS che ci sorvegliavano, delle urla e dei colpi dei capisquadra.
Gli incidenti e le ferite mortali erano quotidiani e non passava giorno senza che uno o più detenuti venissero uccisi.
Quasi ogni mattina […] il kapò riceveva dalle SS una lista con il numero dei detenuti che non dovevano rientrare. […]»

«Uno degli sport preferiti dai capisquadra era bastonare i detenuti mentre trainavano i vagoncini. In mezz’ora, dovevamo issarli per cinquecento metri e poi lasciarli tornare giù trattenendoli con tutte le nostre forze, perché il loro peso gli faceva prendere una velocità considerevole. Quando uno dei carrelli deragliava, il carrello seguente andava a schiantarsi contro i detenuti e provoca loro lesioni gravi.
Capitava spesso che un detenuto venisse trasportato in infermeria perché aveva avuto la gamba stritolata.
Una volta là, era definitivamente perduto: un medico delle SS gli faceva un’iniezione letale.»


« H.D., impiegato del commercio, nato nel 1915, è stato arrestato il 20 marzo 1938 quando si era recato illegalmente a Praga. […] Allo stesso tempo avevano arrestato un suo amico intimo, a cui avevano estorto una confessione. Fu quindi condannato a tre anni e mezzo di carcere per “delitto contro la morale”.
Scontata la pena, nel novembre del 1941 venne inviato nel campo di concentramento di Buchenwald.Ciò che l’impressionò prima di tutto al suo arrivo furono i cadaveri dei detenuti della compagnia di disciplina che erano stati gettati davanti alla porta come sacchi di grano.
Inoltre, quella sera, un giovane omosessuale si era impiccato e tutti continuavano tranquillamente a mangiare senza alcuna preoccupazione. […]

Il 4 gennaio 1942, venne inviato ad un laboratorio medico dove si effettuavano esperimenti sulla febbre orticaria e dove si utilizzavano di preferenza giovani omosessuali come cavie umane. H.D. resse bene alla malattia, anche se in seguito soffrì di problemi cardiaci […] »

«Nel frattempo, i nuovi arrivati omosessuali, condannati in base all’articolo 175, venivano rapidamente fucilati nel bunker.»

Testimonianza di Jaroslav Bartl, in "Internati omosessuali nel campo di concentramento di Buchenwald"



"Agli omosessuali erano spesso assegnati i lavori più estenuanti da fare nel campo e molti di loro morivano distrutti dalla fatica. Costretti a trasportare pesanti massi nelle cave molti di loro riportavano terribili infortuni.

Altri di questi lavori consistevano nello spostare quantità di pietre inutili per giorni e giorni da una parte all’altra del campo, con il solo scopo delle SS di eliminare lo “spirito omosessuale”.

A partire dal 1943 le SS avevano iniziato il “Programma di Sterminio attraverso il Lavoro Forzato” specificatamente progettato per condurre alla morte omosessuali e criminali.

"Durante la mattina dovevamo trasportare la neve fuori dal nostro blocco e spostarla dal lato sinistro a quello destro della strada.
Viceversa nel pomeriggio dovevamo trasportare di nuovo la stessa neve dal lato destro al lato sinistro della strada…

Dovevamo spalare la neve con le nostre mani, le nostre nude mani, senza alcun guanto di protezione. Lavoravamo a coppie…

… Questa tortura psichica e fisica durò sei giorni fino a che un nuovo “Triangolo Rosa” di prigionieri non fu assegnato al nostro blocco e prese il nostro posto.

Le nostre mani erano completamente spaccate e mezze congelate; eravamo diventati schiavi muti e insignificanti delle SS". ( testimonianza di Heinz Heger) .

I gay sono stati trattati con particolare disprezzo non solo dalle SS ma anche da molti degli altri detenuti che li consideravano come dei pervertiti degenerati.

La vita nei campi di concentramento era una vita solitaria che metteva a dura prova la resistenza psichica indipendentemente dal periodo di tempo trascorso.

Di fronte a tanto odio e degradazione non c’è da sorprendersi che molti si suicidassero correndo contro le recinzioni elettrificate anziché continuare a sopportare la persecuzione.

Nonostante l’ostilità di molti detenuti nei campi, alcuni Triangoli Rosa riuscirono comunque a integrarsi e ad aiutare gli altri.

Per esempio, Kitty Fisher, una detenuta ebrea deportata ad Auschwitz nel 1944 all’età di 16 anni, attribuisce a un detenuto dal Triangolo Rosa la sua sopravvivenza e quella di sua sorella.

Al suo arrivo al campo, un prigioniero che si trovava ad Auschwitz già dal 1940, la aiutò. La aiutava con il cibo e cercava di confortare lei e sua sorella dando loro speranza.

Prima di vederla per l’ultima volta, lui la indirizzò verso una grande selezione che in definitiva serviva per liquidare il campo.

Le disse di far finta di essere una tessitrice e di dire alle SS che lei e sua sorella erano addestrare.

Questo consiglio le salvò la vita: “Possa essere benedetta la sua memoria perché lui ha contribuito alla mia salvezza”.



Punizioni

Le pene per reati vari nei campi includevano il tree hanging, ovvero un palo alto con un gancio al quale venivano agganciate le mani ammanettate del detenuto dietro la schiena.

Il peso del corpo tirava le braccia verso l'alto con conseguente dolore lancinante delle spalle sotto lo sforzo. Le SS chiamavano questa punizione “la foresta cantante”. Il gay sopravvissuto Heinz Dörmer ricorda ancora “le urla e le grida disumane”.

Per metà anno sono stato tenuto piegato… Le mie mani erano legate alle mie caviglie. Quando mi portavano il cibo, la ciotola era sul pavimento; loro lo versavano da sopra e questo si rovesciava per terra.

Io ho dovuto leccarlo con la lingua. Noi non potevamo uscire, perciò i nostri pantaloni erano sporchi.”, testimonianza di Paul Gerhard Vogel, sopravvissuto.

Un'altra punizione diffusa era l'horse: una panca di legno su cui la vittima veniva legata supina, gambe e braccia legate alle gambe, prima di essere colpito più volte con un oggetto contundente o una frusta.

Altre forme di punizione includevano lo stare in piedi per ore e ore o al calore del giorno o nel freddo della notte oppure strisciare più e più volte lungo il pavimento di cemento su gomiti e ginocchia.

Tutte queste punizioni venivano effettuate di fronte agli altri detenuti per l'umiliare il condannato.

Due uomini delle SS hanno portato un ragazzo al centro della piazza… …Le SS lo spogliarono e infilarono la sua testa in un secchio.

Poco dopo questi aizzarono i loro feroci pastori tedeschi contro di lui: i cani da guardia prima morsero il suo inguine e le sue cosce e infine lo sbranarono proprio di fronte a noi.

Le sue grida di dolore erano distorte e amplificate dal dolore della sua testa intrappolata. Il mio corpo irrigidito vacillava, i miei occhi erano sgranati dal terrore, le lacrime scorrevano sulle mie guance e pregavo con tutto me stesso che quel dolore finisse in fretta.
( testimonianza di Pierre Seel).
A volte le SS costringevano tutti i prigionieri a guardare le esecuzioni più atroci. Queste manifestazioni pubbliche di orribile violenza sarebbero state secondo loro un deterrente a qualsiasi pensiero di rivolta e avrebbero creato un clima di terrore e di solitudine.

In alcuni campi i triangoli rosa erano alloggiati insieme ad altri detenuti, ma a volte, come ad esempio a Sachsenhausen, speciali baracche vennero erette apposta per loro, al fine di segregarli.

In questi blocchi i triangoli rosa erano obbligati a dormire con le mani ben visibili al di fuori della sottile coperta per evitare qualsiasi contatto fisico con gli altri detenuti che condividevano la cuccetta.

La luce artificiale o anche il rumore degli altri detenuti rendeva poi più difficile prendere sonno per un lungo periodo di tempo.

Chiunque fosse stato trovato con la sua biancheria sul letto o con la sua mano sotto la coperta (e i controlli erano effettuati quasi ogni notte) veniva preso e veniva bagnato con diverse ciotole di acqua fredda prima di essere lasciato fuori per almeno un’ora. Solo pochi riuscivano a sopravvivere a questo trattamento” (testimonianza di Heinz Heger )

Tratto da "Homocaust. The gay victims of the Holocaust" di Lewis Oswald






lunedì 24 gennaio 2011

Precipitazioni: assenti




Sono in convalescenza. Ho passato giorni difficili, e sto tentando di venirne fuori. Giorni di nebbia continua, che però qui sulle colline non è mai il coltrone ovattato e rassicurante come nelle pianure. Qualche raggio di sole la penetra con facilità, e senza riuscire a dissiparla la rende proteiforme, mobilissima, palpitante, viva e beffarda come un congresso di fantasmi.
In queste nebbie inquietanti mi sono incagliato, arenato più volte; ed ho faticato un po' troppo a ritrovare la strada. Ho picchiato la fronte e strisciato le spalle nei rami bassi della palude. Tutto scorticato ho fatto come Rambo e ho cercato di rammendarmi da solo, quando invece avrei dovuto chiedere l'aiuto di chi non me l'avrebbe negato di certo. Le mie solite cazzate.
Ma questa volta la colpa è dell'astrologo: crepasse davvero, una buona volta.
Ora, io non credo agli oroscopi, non ci credo per niente. Ma gli oroscopi credono in me; ci credono tantissimo. E, almeno nei miei confronti, ci chiappano sempre. Questa volta hanno detto che verso Aprile succederà qualcosa che mi cambierà la vita. Qualcosa di traumatico e doloroso: se riuscirò a combattere e a non soccombere, rinascerò; e comincerà per me un'età dell'oro in cui potrò godere di tutto quanto mi è mancato finora. Ora, non ci voleva l'astrologo per capire che se voglio ancora sperare qualcosa dalla vita devo radicalmente cambiare quella che sto facendo; ma finchè resto tra le nebbie maligne di collina il cambiamento è impossibile; e non bastano certo pochi giorni di sole o di pioggia per far finta che non esistano. Tutto sommato la catarsi potrebbe essere una soluzione drastica ma efficace. Ma conoscendomi mi chiedo se ce la farò. Magari potrei sostenerne l'urto, ma dopo? Quando, sopravvissuto, mi dovessi trovare a ricostruire tutto, ce la farei? E se la catarsi non ci fosse, continuerò a consumarmi un po' ogni giorno continuando ad annaspare nella nebbia fino alla fine?
Ecco, con simili pensieri ho trascorso queste settimane. Ed è stata dura. Ora va un po' meglio, le nebbie hanno concesso una tregua. Ma continuo a temere lo stillicidio del tempo, e vorrei già essere oltre . E' che sono stanco di guerre e di zuffe; sono stanco del pugno di mosche che ne ho ricavato, e che confermano non valesse affatto la pena affrontarle.




giovedì 30 dicembre 2010

AUGURI



C'è tempo per i bilanci, per i consuntivi e per i propositi. Adesso è tutto un po' sospeso, e va bene così. Indugio ancora, e guardo indietro un'ultima volta prima di varcare l'ennesima soglia senza ritorno. Vorrei non doverlo fare da solo, ma pazienza, si vede che proprio non è destino. O sono io che non sono all'altezza.
Vi porto con me tutti quanti, comunque. E tanti auguri di buon anno.
(Uffa, sì, lo so che la foto qui sopra cronologicamente non c'azzecca: però mi piace. E mi piacciono le cose dal gusto retro)

martedì 28 dicembre 2010

Orchestrina del mio cuor



"...si sta spogliando un'odalisca
è già da un'ora che lo fa
esasperante il suo languore aiuto l'orchestrina del mio cuor!
Ride la stella Aldebaran
ride e fa: to be to be to be or not to be!
Ride la stella ride e fa:
trallallà to be to be to be or not to be!
Ah, l'odalisca adesso è nuda
e muove i fianchi in qua e in là;
fuori le palme, e il vento suda
aria di pioggia e di infelicità.
Arriva un tipo di Milano
tutto nottambulo languor
mette la mancia sopra il piano
e chiede che si suoni ancora ancor;
sì, suona; sì suona ancora orchestrina,
che poi vedrai che se ne andrà.
Suonate "bella Madunina"
forza orchestrina del mio cuor!
Ma prima ancora che finisca
altro pensiero ha da pensare,
c'è da portare l'odalisca
a fare quattro passi in riva al mare;
lo vuol vedere mentre albeggia, esasperante è il suo languor
nel buio che c'ho una scorreggia
ah ah, brava orchestrina del mio cuor
!".


Ci somigliamo sempre di più, entrambi imbozzolati nelle nostre improbabili nostalgie, logore ma senza rimedio. Nessuno ce le prende più sul serio, ed entrambi per buona educazione facciamo finta di stare al gioco, cerchiamo di dissacrarle almeno un po', tanto per far vedere che tutto sommato si tira avanti lo stesso. L'odalisca culona e languida in fin dei conti ci dà fastidio, così come l'orchestrina impertinente: ci interesserebbe solo la stella Aldebaran, che però è sempre più lontana, sempre più irraggiungibile. Così trasciniamo tranquilli il nostro silenzioso e solitario cadere, un passo dopo l'altro, porgendo il braccio all'odalisca indolente davanti al mare livido prima dell'alba.