mercoledì 30 dicembre 2009

Hashanà haba'a b'Yrushalayim (l'anno prossimo a Gerusalemme)


Hashanà haba'a b'Yrushalayim vuol dire "l'anno prossimo a Gerusalemme" ed è l'augurio che gli ebrei della diaspora si scambiano da tempo immemorabile durante la festa di Pesach. E' l'augurio di un sogno tanto bello quanto impossibile. Chi lo pronuncia sa benissimo da sempre che l'anno prossimo non sarà a Gerusalemme, e non ci saranno i suoi cari. Sa anche, da sempre, che il giorno in cui saremo a Gerusalemme non è un giorno di questa vita. E forse non desidera nemmeno così tanto di essere a Gerusalemme in capo ad un anno: la lontananza ha i suoi vantaggi, e permette di coltivare desideri ardenti e nostalgie struggenti senza mai estinguere o logorare nè gli uni nè le altre. Ma augurandoci vicendevolmente un sogno irrealizzabile, ci invitiamo gli uni con gli altri a lasciarci inebriare dalla sua dolcezza.
Così la Gerusalemme che purtroppo o per fortuna non avrò mai, è l'avervi tutti con me il prossimo Natale. Casa mia è grande, ci staremo tutti. Ma sia chiaro: ognuno deve rendersi utile.
Bisognerà che siate tutti qui già la notte della vigilia per via dei regali sotto l'albero; e poichè sarò molto affaccendato, gli onori di casa li faranno Poto e Principessa Rosa, perché sono bravi a far sentire tutti a proprio agio fin dal primo istante. E siccome sono entrambi svegli e svelti, si occuperanno della sistemazione e del comfort degli ospiti . Simone Bubu, ahilui, dovrà occuparsi del camino, accudire il fuoco, spaccare la legna, portarla su: avendo già dato larga prova delle sue capacità, ci sentiamo in una botte di ferro. Antonio, Beniamino ed i ragazzi di Primaparete si occuperanno dell'Albero e del presepe: nessun limite alla fantasia o alla creatività, basta che siano entrambi molto, ma molto grossi. Ci sarà da pensare alla cena, o meglio, ad un quasi-cenone che stuzzichi senza appesantire. Se ne occuperà Luce, che arriverà appositamente ben carica di frutti di mare, crostacei e molluschi appena pescati, e burrate e mozzarelle, e pane di Altamura ancora fragrante di forno. Gios sarà suo aiutante, visto che di simili cibarie se ne intende. La saggia e sagace miss Marple si occuperà della spesa, e del reperimento di tutte le altre cibarie. Ruolo importantissimo e delicatissimo per la buona riuscita della festa. In cucina con me voglio i tre Marchi: Marcoboh, Marco S-kram e Marco Chesoio, mio compaesano ignoto ai più. Essendo tutti e tre grandissimi chef li metteremo sotto il torchio e li spremeremo come limoni. Asa-Ashel sarà il maître pâtissier et confiseur , creatore, arbitro e despota di tutti i dolci , tutte le paste, tutti i desserts che saranno serviti a cena, a colazione e a pranzo. E siccome è uno che non sa stare con le mani in mano, mentre aspetta la lievitazione delle torte si occuperà anche delle decorazioni natalizie e dei centro-tavola. Della mise en place si occuperà la splendida Alexis, che però dovrà portare l'argenteria, la cristalleria ed i tovagliati di Fiandra di famiglia. Magari, visto l'ingombro della mercanzia, la aiuterò con il furgone per il trasporto. Del servizio si occuperanno Anastasia e Edgar, perché anche la più sublime vivanda può risultare scadente se non viene presentata con grazia; e perché, diciamolo, anche l'occhio vuole la sua parte. Il fulgido Carlo ed il Principino saranno maître sommelier, e scusatemi se è poco averne due così, che vi servono il vino facendovi pure girare la testa. Byb e Lore! penseranno ai giochi di società, ai ricchi premi ed ai cotillons, e l'Ingegnere della mia vita darà loro manforte con le sciarade, gli anagrammi, gli indovinelli, i giochi di parole; occupandosi anche, a latere, dell'emeroteca, delle riviste, dei libri e dei film da mettere a disposizione degli ospiti. Della colonna sonora, delle foto e dei filmati si incaricheranno Ribaldo e Winckelmann; ma, giuro, quando saremo ben sazi di Opera e di Lied, passeremo il bollino a Poto, ad Anastasia, al Canarino Mannaro e a Joshua perché ci rimbambiscano a dovere con Madonna, la Gaga, Rihanna e tutte le loro emule ed imitatrici.
I quali Joshua, relativo Simone e Canarino non si credano di cavarsela così a buon mercato, perchè a loro spetta il compito delicatissimo dei regali: dal confezionamento alla distribuzione. Poichè tutti i presenti sanno ormai che babbo Natale non esiste, saranno dispensati dall'indossare l'abito d'ordinanza, ma potranno limitarsi al solo jock-strap rosso orlato di pelliccia bianca. Il Baronetto, visto che è discendente diretto di James Bond, avrà il compito più arduo: trascinare fra noi la triade degli inafferrabili: Velies Thyrrens, Omoeros e Penaepanico.
Se ce la farà li nomineremo reginette della festa mediante il più ambito riconoscimento: le coroncine delle Winx che ci avanzano dall'estate scorsa. Angeloventura lo lasceremo sedere a tavola solo se avrà terminato la dieta, altrimenti lo condanniamo al supplizio di Tantalo legandolo in cucina durante la preparazione del pranzo. Ah, ovviamente Fabio-Fireman e consorte saranno incaricati della sicurezza, che quando si è in tanti così non si può mai sapere.
E miss Marple, che avendo finito i suoi compiti prima di tutti gli altri avrà tempo a disposizione, si attaccherà al telefono per rintracciare tutti coloro di cui per un motivo o per l'altro si sono perse le tracce: dal Pupone a Creek, dai due del Quadraretto a Lovestoned: vedrà di farli arrivare in extremis, e nella peggiore delle ipotesi farà loro gli auguri da parte di tutti noi.
Allora restiamo intesi così: l'anno prossimo a Gerusalemme.
Nell'attesa, auguri di tutto cuore da parte mia. Grazie, siete fantastici.



Per chiudere in bellezza


Per non farci mancare niente, dopo i màrtiri, i martiri, l'Amor sacro e l'Amor profano, un bell'autodafè con cui festeggiare l'arrivo del nuovo anno!

(Segnalazione di Malvino)

Cioccolata amara



"Vi siete mai chiesti come mai a volte soffrire risulta così dolce? Forse è nella natura dell’Uomo, forse è un bisogno primario d’ogni persona. Soffrire è un po’ come amare. Si amano le cose più strane, più diverse, più lontane da noi. Ed è forse per questo che si soffre per la loro assenza. In particolare ci sono alcune persone che son come la cioccolata: fanno star bene ma creano assuefazione. Per questo ci sarebbe il bisogno di un’etichetta, una data di scadenza, e magari un fogliettino con su scritti gli effetti collaterali. Più tempo passi in loro compagnia e meno ne vorresti trascorrere senza. Ma è così bello ritrovarle in un sms, in una lettera o (per i più fortunati) in un nuovo sguardo. Tutto uguale e tutto diverso. Come tornare nella tua vecchia casa. Ogni cosa al suo posto ma cambiata, forse solo perché sei stato tu a cambiare."


Rubato a Nameless, visto che sembra scritto proprio per me

lunedì 28 dicembre 2009

E tu, che stella sei?



Si si, lo so: le etichette sono sempre antipatiche, però a volte sono utili. " A che si conoscono le butteglie, ah? A le insegne!" gridava Bernardino da Siena per spiegare l'importanza dei segni che svelano e definiscono. Fino ad una cinquantina d'anni fa se andavate all'osteria vi sbattevano sul tavolo il litrozzo di vino della casa, e solo nei ristoranti di un certo tono arrivavano a chiedervi : "Bianco o rosso?". Oggi se anche al chiosco delle crêpes vi sottopongono carte dei vini spesse come la Treccani, è perché almeno in campo enologico si è imparato che la diversità vuol dire varietà, e quindi ampiezza di orizzonti, possibilità di scelta e di scoperte, aumento esponenziale delle sapienze, delle intelligenze e dei piaceri: ricchezza, a farla breve, tanto morale quanto materiale. Ma la diversità/varietà deve essere riconoscibile e distinguibile, sennò si cade nel rischio opposto: il disordine, il bailamme, la confusione, la babele, il pandemonio. E le etichette servono, o meglio dovrebbero servire, proprio a spiegarti cosa c'è nel contenitore: non solo ti preannunciano le caratteristiche intrinseche del contenuto, ma te ne raccontano la storia, la memoria, le radici, la nascita, le esperienze ed il carattere. Certo, i problemi vengono fuori, e belli grossi, quando le etichette sono bugiarde; o quando diventano uno strumento ingabbia e tarpa le identità, anzichè esaltarle: ma si sa che ogni rovescio ha la sua medaglia.
Per questo mi sono divertito quando ho scoperto questo sistema di etichettatura del mondo gayo, che qualcuno non mancherà di stigmatizzare come beceramente grezza ed arrogante, e che io invece ho trovato simpatica.

Così, è stella di bronzo chi ha avuto rapporti sessuali con almeno due persone di sesso diverso
(ma meno di 20, sennò si passa alla categoria degli etero curiosi)

E' stella d'argento chi ha avuto rapporti sessuali con una sola persona di sesso diversoE' stella d'oro, ovviamente, e gay a Denominazione d'Origine Controllata e Garantita, chi non ha mai avuto rapporti sessuali con persone di sesso diverso.
Mi ha fatto piacere scoprire che ad Austin esiste una squadra di calcio chiamata Gold Stars,
non certo in omaggio alle pur meritevolissime stelle del Salumificio Negroni.



Per quanto mi riguarda, ambisco alla stella d'oro anch'io, ma mi sa che dovrò sottopormi al verdetto dell'apposita Commissione di Certificazione, e spiegare ai suoi membri che i contuberni intrattenuti con la mia antica ed unica fidanzata d'epoca post-adolescenziale non sono ritenuti "rapporti sessuali" nemmeno fra i parameci.

E voi, che stella siete?

sabato 26 dicembre 2009

La seminarista spaventata




Troppo bello per non postarlo!

The snowman's riflery






Solo pochi giorni fa, dopo la nevicata, mi ripromettevo di fare il pupazzo di neve e di dedicarlo a tutti gli amici bloggaroli. Poi la neve si è girata in pioggia, e la materia prima è sparita in breve tempo. Così avevo pensato, per far fronte in qualche modo agli impregni presi, di ricorrere ai terrificanti snowmans che i miei adorati Calvin & Hobbes creano ad ogni inverno, accompagnandoli con qualche considerazione personale sulla sottile inquitetudine che anche le più tranquillizzanti e bonarie creature di neve mi provocano fin dalla lontana infanzia.
Con grandissimo disappunto ho però scoperto poco fa che miss Marple mi ha preceduto, sia pure percorrendo altre vie. Chi ha tempo non aspetti tempo, e dunque ben mi sta.
Mi consolo ammirando l'onniveggenza e la lungimiranza dell'anziana signorina, che, ne sono certo, postando il suo filmato avrà pensato anche al sottoscritto.
Per quanti volessero comunque approfondire l'argomento, consiglio vivamente questa succosa carrellata.

venerdì 25 dicembre 2009

Il pranzo di Bobette *


Amuse-bouche: blinis al caviale Beluga e allo storione affumicato





Crostata di zucca e foie-gras del Perigord




Marbré di regaglie in riduzione di Porto e tartufo nero,
con valerianella all'Aceto Balsamico Tradizionale di
Modena, di 100 anni.



Prosciuttino casalingo di petto d'anatra al coriandolo e spezie,
con zuccotto di verdure confettate




Saccotino ripieno di zucca, porri e amaretto,
su fonduta piemontese al Tartufo bianco





Oca al forno farcita con arance, scalogni, lavanda
e timo, con pere caramellate nel suo grasso e
albicocche stufate nel Torcolato di Breganze.


&&&&&&&&&&&&




Piccole coppe di gelato di Mascarpone e Torrone

guarnito con Zabaglione bollente.

Panettone artigianale nella sua ricetta storica,
a lievitazione spontanea, con canditi, uvetta e
Zafferano



(* Il titolo non è un errore, ma un doveroso omaggio ad un film che adoro, e a colui che non ha potuto partecipare al convito, pur sgranocchiandosi poi tutti gli avanzi, ritratto qui sotto nel pieno della sua beatitudine postprandiale)


giovedì 24 dicembre 2009

Consigli per i regali




Ai ritardatari che non sanno dove sbattere la testa per gli ultimi regali natalizi, ecco un'idea moderna, attuale, originale, che sarà certamente apprezzatissima!

martedì 22 dicembre 2009

Les neiges d'antan


Eccole, sono tornate. Il candore è lo stesso, e l'odore dell'aria, e la luce, e i ricordi che se ne alimentano. Fuori è proprio così. E adesso scusatemi, ma vado di fretta: Bobo mi aspetta impaziente per fare il pupazzo di neve. Voi lo fate, il pupazzo di neve?

(PS: cliccando sulla foto c'è la versione ingrandita)
(PPS: se mi dilungo, finisce che scrivo le stesse cose di un anno fa)

lunedì 14 dicembre 2009

Ritorno. (Dream a little dream of me)



Le stelle splendono lucenti sopra di te
le brezze notturne sembrano sussurrare: "ti amo"
Gli uccelli cantano sull'albero di platano:
"Sogna un piccolo sogno di me"
dì "buonanotte" e baciami.
Stringimi forte e dimmi che ti mancherò;
mentre sono solo e triste più che mai,
sogna un piccolo sogno di me.

Non voglio chiedermi perché tutti i miei ritorni sono sempre malinconici. No, non me lo chiedo; tanto mi basta la sensazione di sfinimento, fra l'amaro e il dolce, che provo ogni volta entrando nel cortile di casa dopo aver attraversato mezza Europa. E non mi chiedo nemmeno se sono mancato a qualcuno, e se qualcuno ha fatto un piccolo sogno di me: anche lì, meglio non saperlo. Mi sazio dei pensieri affettuosi che mi sono stati lasciati come viatico e che mi hanno accompagnato, o che hanno salutato questo ennesimo ritorno. E a ben pensarci, non è poco.
Carlo Martello non s'è fatto trovare: quel vecchio rincoglionito non ci sta più tanto con la testa, e secondo me si è completamente dimenticato della mia venuta. Mi è dispiaciuto di più non aver avuto tempo per visitare la Signora grossa, e Savino quello bello, tutto pittato sulla riva del fiume. Ma pazienza, che tanto mica scappano: sarà per un'altra volta. Del viaggio dirò ancora; ma per il momento riede alla parca mensa, fischiando, il zappatore, e seco pensa al dì del suo riposo.

giovedì 10 dicembre 2009

Che coss'è l'amor ( fate i bravi)




Domattina si parte, di nuovo. Starò via qualche giorno, vado a trovare Carlo Martello, e se avrò tempo, a visitare una signora grossa e molto attraente malgrado l'età. Parto, e non ne ho voglia: ma mi tocca, anche se so già che mi sentirò come il famoso binario della canzone omonima.
Nel frattempo fate i bravi, mi raccomando.
Non comprate altre calzature.
Fate attenzione alle ciaspole, alle ciospe ed alla neve, che è fredda.
Non bevete troppo té, che poi mi diventate nervosi.
Difendetevi dalla suina, ma buttatevi sui suini d'ogni tipo.
Non date da bere al vostro fidanzato dopo mezzanotte. Mai, capito? E fate attenzione che non gliene dia qualcun altro.
Raccogliete i cachi, che è ora.
Arriva il burian: occhio a coprirvi.
Non date confidenza agli sconosciuti. Ma se gli sconosciuti volessero dare confidenza a voi, beh, fateci un pensierino.
Insomma, non fatemi stare in pensiero. E se vi avanza del tempo rivolgete un pensierino affettuoso anche a me, che poi lo ricambio, siatene certi.
Dovendomi sobbarcare quasi un paio di migliaia di chilometri, avrò tempo per riflettere sull'amore e su altre tragedie.


Ahi, permette signorina
sono il re della cantina
vampiro nella vigna
sottrattor nella cucina
son monarca e son boemio
se questa è la miseria
mi ci tuffo
con dignità da rey.

martedì 8 dicembre 2009

Auguri, Marco!

Un amico mi ha fatto osservare che ultimamente questo blog, a furia di auguri di compleanno, sta somigliando sempre più ad una di quelle radio private specializzate in dediche. "Da Chevin a Gessica...con tanto-tanto amoreeeee!" : una roba del genere, insomma. Ok, ma non è mica colpa mia se persone importanti della mia vita e della mia storia festeggiano il genetliaco tutti insieme! E se, soprattutto, ne ho avuto modo di ricordamene le date, visto che ho una pessima memoria per gli anniversari. E oggi gli anni li compie Marco, il mio Marco: uno che nella mia vita c'è entrato in punta di piedi, con la delicatezza e l'eleganza di un gentiluomo d'altri tempi. Uno che è una persona adorabile, di straordinaria cultura e profondità e, insieme, di irresistibile simpatia, di disarmante candore, di entusiasmante trasparenza e pulizia. Uno della mia generazione, che condivide con me un bagaglio di ricordi, di memorie , di esperienze , di vittorie e di sconfitte sufficienti a renderci come fratelli. E, soprattutto, uno che sopporta le mie mattane, e riesce a sostenermi in questa stagione melmosa e disperata, e lo fa con ammirevole costanza ed eroica abnegazione.
Questa sera festeggia a casa: una cena con il suo compagno e con i suoi amici più scelti. Se lo può permettere, visto che è un cuoco eccellente e raffinato. Ebbene, mi ha fatto sapere ieri che preparerà una ricetta che gli mandai tempo fa, "... così sarà un po' come se ci fossi anche tu". No, per dire...
A Marco voglio bene davvero: un bene dell'anima. E assieme agli auguri gli faccio questo regalino: un filmato che trovo delizioso fino alla commozione, che secondo me lo rispecchia molto, e che spero gradirà.


lunedì 7 dicembre 2009

Sono malato. E anche zozzone.


Grazie a questo signore, che è uno psichiatra di chiara fama ed è spesso presente in tv ( mica cazzi, verrebbe da dire in latino) , ho scoperto di avere una brutta malattia. Una manica di birbaccioni che si sono persino mobilitati in una campagna porta a porta ( quando passarono a casa mia con il depliant in mano, si vede che mia madre li scambiò per Testimoni di Geova e non aprì dicendo: "Non compriamo niente!") ha fatto in modo che ne fossi all'oscuro fino ad oggi, ma per fortuna grazie al noto volto televisivo ho potuto finalmente aprire gli occhi. Ed ho scoperto di essere afflitto da un grave disturbo, una specie di virus che deve essermi esploso dentro approfittando forse di una certa predisposizione genetica. Ed ho scoperto anche che sono stato io a farmi infettare da questo parassita, io che l'ho cercato, io che l'ho voluto, io che non ho saputo reagire. Certo, l'ambiente sibaritico, decadente e debosciato in cui sono crescito deve aver contribuito a farmi ammalare: ma in definitiva, secondo il famoso psichiatra è stata una mia scelta. Perché devo aver perduto ogni valore etico; e perché in definitiva sono uno zozzone.
Bene, adesso che lo so posso finalmente curarmi, magari mi rivolgo al Professore, ha l'aria di saperla lunga. Ma no, per il momento mi faccio aiutare da persone di fiducia. 'Spetta qua che le chiamo: TERESAAAAAAA?!?!!! MIRIANAAAAAAAAAAAAA?!?!

domenica 6 dicembre 2009

Why? Pecchè?


Per favore, qualcuno sa dirmi perché un uomo d'età provetta, che ne ha viste e fatte di cotte e di crude ( vabbè, più viste che fatte) , deve piangere come un salice rivedendo per l'ennesima volta "Babe, maialino coraggioso"?
E sempre per favore, non mi si risponda che noi siamo più sensibili: dopo il film mi sono sorbito tutto il noiosissimo "La mummia" per vedere se per caso a Brendan "Chiappe di marmo" Fraser fosse cascato il parrucchino durante qualche colluttazione.

domenica 29 novembre 2009

Auguri, biondino!


Ci sono le bionde, le false bionde e le bionde dentro. Poi ci sono i biondoni ed i biondini. I primi non mi sono mai stati simpatici, convinti come sono che l'essere biondoni sia una patente di sovrumanità, se non proprio di semidivinità. I secondi invece li adoro a prescindere. Forse perché, lasciandosi travisare dall'immagine di lindore, di garbo e di soavità che emanano l'immaginario collettivo li recepisce un po' come acque chete: tanto buoni, per carità, ma come dire...un po' insipidi. E tutto ciò è un madornale luogo comune, anzi, un'ingiustizia bella e buona.
Perché il fascino del biondino nasce proprio dal contrasto fra l'aspetto angelico ed il carattere sempre pepato, che secondo me maturano proprio per reazione al fatto di essere presi poco sul serio. Edgar, per esempio, è biondino fino al midollo: capelli coloro dell'oro, occhi come laghetti di montagna, lineamenti dolcemente regolari, modi riservati ed un po' timidi. Ma se lo conosci ne intuisci il carisma, la personalità complessa ed affascinante, il carattere virile e senza fronzoli. E se lo conosci capisci subito che ha un cuore grande così; e che quegli occhi azzurri, se ti ci tuffi, ti permettono di arrivarci dritto e filato; e che quei capelli d'oro sono la bella luce che manda da dentro.
Tanti auguri, caro Edgar. Come pensiero per il compleanno ti riporto il bell'oroscopo che Rob Brezsny questa settimana ti dedica.
Un abbraccio!

Il modo più sicuro per sconfiggere il sistema, mio caro, è fare finta che non esista e costruirne uno tutto tuo. Il metodo migliore per lasciare i tuoi avversari a balbettare davanti allo specchio, dolcezza, è ignorarli. Questo non significa, tesoro, che dovrai essere un narcisista che ascolta solo se stesso. Sorridi mentre spieghi agli altri perché il tuo modo di fare le cose è il migliore. Recluta preziosi collaboratori con la forza irresistibile del tuo carisma.

Hallo Kitty frattaglie





Che le frattaglie, le coratelle e le trippe fossero buone lo sapevo da un pezzo. Che potessero essere anche carine l'ho scoperto oggi. Proprio vero, fino alla bara tutto s'impara!

sabato 28 novembre 2009

Gaio Duecento


E sono di nuovo giorni ripiegati e dolenti. Frenetici nello spietato scatenarsi di assillanti incombenze, ed insieme torpidi e dolenti per la stupefatta inerzia con la quale mi trovo a trascorrerli, e a farvi fronte. Un'inerzia che stupisce anche me, e che mi puzza sempre più di sconfitta definitiva: una Caporetto dove sembra impossibile qualsiasi ipotesi di contrattacco; qualsiasi speranza di riscossa. Cerco di sostenermi con le attenzioni e le sollecitudini che mi regalano alcune anime elette ma troppo lontane per soccorrermi in questi momenti; e più mi ci aggrappo più ne divento famelico, e meno riesco a saziarmene. Vergognandomi di questa bulimia, rischio di diventare anoressico.
Se mi guardo dentro provo un misto di compassione e di schifo. E questo non aiuta; questo mi preclude quelle vie di fuga attraverso le quali, un tempo, riuscivo scaltramente a sfangarla.
Ma questa sera ho bisogno di fermarmi, e di combattere questo strano freddo che sento nelle ossa. Torno a cercare calore e ristoro nel mio adorato Duecento, che come al solito non mi delude, e mi regala questo meraviglioso sonetto gay di Nicola Muscia da Siena:



Giùgiale di quaresima a l'uscita,
e sùcina fra l'entrar di febbraio,
e mandorle novelle di gennaio
mandar vorre' io a Lan ch'è gioi' compita;

ch'i' l'amo più che nessun uom la vita,
ed e' mi tien per suo e sono e paio:
ed e' se ne potrebbe avveder naio;
e a lui vado, com'a la calamita

va lo ferro, che è naturaltade:
Amor comanda, e così vòl che sia,
ched i' faccia per la sua gran beltade,

ch'è tanta che contar non si poria;
ma non dico così de la bontade
né del senno, per ciò ch'i' mentiria.

Ho scritto a bella posta "sonetto gay" perché in esso c'è la serena, piena consapevolezza della naturalità insita nell'amore omosessuale. Una consapevolezza non soggettiva o occasionale, ma alimentata dall'humus culturale di un'Italia che attraversava uno dei periodi più straordinari della sua storia. Ne offro, per maggior chiarezza, una mia versione in lingua corrente.

Giuggiole a Quaresima adempiuta
e susine agli inizi di Febbraio
e mandorle novelle di Gennaio
vorrei donare a Lano, mia gioia compiuta;

che l'amo più della mia stessa vita,
e lui mi ritien suo, e questo io lo so:
che se ne accorge pure chi veder non può;
e a lui vado come alla calamita

va il ferro, e quest'è naturalezza:
l'Amore mi comanda, e così vuole che sia,
e che lo faccia per la sua gran bellezza

che è tanta che spiegarla non potrei;
ma non dico così di sua bontà
nè del senno: che altrimenti mentirei.

Che meraviglia questo Nicola innamorato e fiero di sapersi corrisposto, orgoglioso della sua passione e dei suoi sentimenti! Che dolce questo Nicola che vorrebbe regalare al fidanzato cose che manco esistono come le susine di Febbraio o le giuggiole d'Aprile. E pazienza se il Lano del suo cuore è bellissimo ma stronzo, e anche un po' svaporato: mica sempre ci si innamora delle persone perfette, no? Che poi anche Nicola, a dirla tutta, non è uno stinco di santo nemmeno lui, e quelle malelingue dei suoi amici dicono che è una strega capace di trasformarsi in gatta "...e va di notte, e poppa le persone"; ma secondo me è tutta invidia di quelle Kretine!

sabato 21 novembre 2009

Auguri, principino!


Quando nacqui faceva così caldo che le mie fate madrine, oppresse dall'afa, sbagliarono tutti gli incantesimi. Così non soltanto venni fuori un pasticcio, ma per soprammercato risultai anche sfortunato al gioco, sfortunato in amore e sfortunato negli affari. Accortesi del disastro, le scriteriate mandarono a chiamare in tutta fretta la vecchia fata Tamarinda. " O ragazze" disse lei dopo essersi resa conto dell'accaduto " qui ormai la frittata è fatta e io posso fare ben poco; tuttavia a questo sgorbietto voglio fare un regalo che lo possa risarcire di quanto voi disgraziate gli avete tolto". Agitando la bacchetta magica sulla mia capoccetta pelata recitò:
"Stranga bulanga masanga viggiù
che tanti amici possa aver tu.
Magalli fiorello ventura timperi
tu possa aver tanti amici sinceri.
Normografo pantografo rapidograf matita
siano gli amici il sorriso della vita".
E sparì, lasciando nell'aria un forte odore di pastiglie Valda.
L'incantesimo di Tamarinda, devo ammetterlo, funzionò: e la mia vita fu costellata di amicizie in grado di darmi quelle felicità che mi venivano negate in altri campi. E lo è tutt'ora.
Grazie all'incantesimo tanti amici sono diventati parte di me, rimanendo tali anche quando il destino e le vicissitudini hanno fatto in modo di allontanarmeli materialmente, o di allentarne la frequentazione. Ma quando parti separate si ricongiungono, è sempre una festa. Come con A.
A. è quello della foto. Cioè, ovviamente non è lui, ma gli somiglia come una goccia d'acqua. Lo conobbi parecchio tempo fa, e fu il primo che ribattezzai "Principino" per la grazia aristocratica dei lineamenti, dei modi e dell'eloquio, oltre che per la nobiltà delle idee e dei sentimenti. Ma anche perché, come nel "Piccolo principe", ai tempi della nostra frequentazione credevo di insegnargli la vita e invece la imparavo da lui. Passammo insieme bellissimi momenti; poi, come spesso succede, la vita ci ha un po' allontanato, lui impegnato nei suoi amori esaltanti, io impegolato nei miei amori impossibili. Ma non ci siamo mai persi di vista, e l'affetto di cui continua ad onorarmi è quel tipo di felicità che sanno darmi solo gli amici più cari.
Se questa volta parlo di lui è perché domani è il suo compleanno, e ci tengo a fargli gli auguri Urbi et Orbi, da quella persona speciale che è.
Grazie, Principino: ti abbraccio forte.


venerdì 13 novembre 2009

Omero, Sorgi e i bandoleros


In un bell'articolo apparso oggi su "La Stampa", Marcello Sorgi dipinge con immagini molto efficaci l'attuale situazione della maggioranza di governo. Il Presidente del Consiglio vi è ritratto come un toro che nel corso di una corrida scorrazza furioso ed apparentemente invincibile nell'arena, quando ad un tratto, zac! uomini dalle movenze sinuose e leggiadre lo infilzano sul groppone con le banderillas acuminate e variopinte, che senza provocargli dolori insostenibili ne fiaccano però irrimediabilmente la resistenza e l'aggressività. Secondo il bravo giornalista, questi uomini da assimilare ad alcuni esponenti del Governo in carica si chiamano "bandoleros". "Quandoque bonus dormitat Homerus", ogni tanto anche Omero sonnecchia: lo sappiamo, è una cosa umanissima che ha fra l'altro il merito di renderci più simpatici e meno algidamente perfetti tutti coloro che grazie alle proprie capacità sarebbero altrimenti destinati a rimanere su inarrivabili e intimidenti piedistalli. Perché, dottor Sorgi, il bandolero è il fuorilegge, il bandito che , stanco, scende la Sierra misteriosa sul suo cavallo bianco; come nel Tango delle capinere che sentivo cantare dai miei vecchi durante le veglie invernali in tempi ormai remoti. Quelli che infilzano il toro nell'arena si chiamano "banderilleros" dal nome del loro strumento di tortura.
Non per altro, ma per la memoria dei miei vecchi romantici e canterini mi sento in dovere di segnalarLe un errore che loro riterrebbero imperdonabile.

mercoledì 11 novembre 2009

Permitte divis cetera


"Guarda come si staglia il Soratte sotto il candido
manto di neve, e come le fronde stremate
faticano a reggerne il peso. Gelo tagliente, i fiumi
e i ruscelli si sono rappresi.
Dissolvi il freddo nutrendo il camino
con larga provvista di legna, o Taliarco;
e senza avarizia mesci il vino di quattro anni , e puro,
dall'anfora sabina col manico doppio.
Tutto il resto, lascialo agli dei.
E' bastato che facessero cessare i venti in lotta
sul gran ribollire marino,
perchè di colpo i cipressi e gli orni vetusti
non s'agitassero più.
Su cosa ti attende in futuro, rinuncia ad indagare:
qualunque altro giorno ti aggiunga il destino,
come quello trascorso,
ricorda di segnarlo in attivo. "


Quanto mi è sempre piaciuta, questa poesia di Orazio! Oggi pomeriggio, lavorando forsennatamente, pieno di zelo mi proponevo di continuare il racconto di San Martino, e per soprammercato di parlare del bellissimo blog alchemico-gastronomico che Asa-Ashel, zitto zitto, manda avanti da qualche tempo parallelamente ai suoi più noti Frammenti. Poi la notte s'è fatta di cobalto gelato e trapunto di stelle come la volta degli Scrovegni, ed è stato bello riempire il camino coi grossi ceppi di vite vecchia che fanno una fiamma odorosa e pulita. Taliarco non c'era, e quando mai, ed era ormai così tardi che ho cenato da solo. Ma ho trovato un perfetto merluzzo dissalato da poco, che ho fatto appena scottare al vapore in modo da poterlo dividere in larghe, morbide falde; e l'ho condito con un giro d'olio ragusano ancora fragrante di frantoio, e poche gocce di limone d'Albenga. Poi l'ultima lattuga dell'orto, che adesso sa di carciofo e non teme nè il sale, nè il timido aceto di Moscato, e che con le grosse, morbide fette del nostro pane odoroso di castagne diventa un mangiare da re. E ancora, un niente di gorgonzola verdissima e pestilenziale e verissima. E una bottiglia di Mondeuse della Savoia fatta da un ragazzo coi capelli neri come il peccato, i muscoli tesi come il desiderio, e gli occhi dolci e profondi come un lago delle Bauges.
E chi vorrei con me non c'è, ma non è lontano. E allora sì, per questa notte tutto il resto lo lascio agli dei.

martedì 10 novembre 2009

San Martino un anno dopo


Il tempo degli uomini non scorre, rotola. E' una ruota in movimento che percorrendo il suo tragitto lineare gira in continuazione su se stessa, e costringe ognuno dei punti della sua circonferenza a tracciare un'orbita perfettamente costante. Dopo giorni e giorni di pioggia e di grigio, Novembre si è tinto d'oro per ricordarmi che domani è San Martino, per celebrare la piccola estate miracolosa che anche a questo giro non sgarra, e per costringermi ancora una volta a fare i conti con i miei ricordi. Lo scrivevo esattamente un anno fa, che domani "...è uno di quei giorni in cui i ricordi ti assolgono anche se non vorresti", solo che all'epoca me la tiravo di più, dicevo e non dicevo, credevo di essere più figo sostituendo le allusioni al racconto, le metafore alle immagini. Adesso ho più voglia di raccontare e di raccontarmi; e se lo scorso anno mi dedicavo un San Martino severo ed austero per esorcizzarli, i ricordi, e per riderne, stavolta me lo regalo fiabesco e leziosetto, molto compreso in se stesso e molto calato nella parte, generoso sì, ma non al punto da rovinare la splendida e griffatissima mantellina di broccato, limitandosi ad asportarne un cicinin giusto giusto per passare alla storia. E' il San Martino di Zenale e Butinone, ospite d'onore in un polittico che amo, e che si trova a Treviglio: dorato, scintillante, rutilante ed improbabile come la piccola estate di domani.




PS: dice: "Embè? E il racconto? E i ricordi? Tutto 'sto pippone e poi siamo sempre nel filare delle uve brusche?" Eh, che diamine, un po' di pazienza, no? Prossimamente, su Rieduchescional Channel!

lunedì 9 novembre 2009

Appunti di viaggio- la Javanaise

Non importa la durata, non importa la meta, non importa lo scopo: un viaggio, per essere veramente tale, va fatto prima di tutto nell'anima. Due giorni mordi-e-fuggi in Francia per lavoro possono ridursi a replicare il mortificante tran-tran delle solite fatiche; ma se si trova la chiave giusta possono essere un viaggio. Solitario ma non solo, questa volta: sarà per questo che la chiave l'ho trovata quasi subito in questa canzone ascoltata quasi subito appena varcata la frontiera.
Nella sua svagata tristezza, nel suo sfumato rimpianto, nella sua affettuosa atmosfera autunnale mi sono subito riconosciuto; ho trovato il sapore di questi miei giorni senza disperazione, non avari di gioie ma non prodighi di speranze.



La vie ne vaut d'etre vécue sans amour
Mais c'est vous qui l'avez voulu mon amour
Ne vous déplaise
En dansant la Javanaise
Nous nous aimions
Le temps d'une chanson.


"Non vale la pena vivere la vita senza amore. Ma sei tu che l'hai voluto, amore mio. Non ti dispiaccia. Ballando la Javanaise ci siamo amati
per il tempo di una canzone." Di una bella canzone, per di più.

Il ragazzo che vende selezioni di té pregiati ha l'aria avvilita di chi scopre di aver fatto male i suoi calcoli; ma dalla colta e cosmopolita Lione non immaginava che in questo lembo di Francia profonda e un po' zotica dove ci siamo trovati uno accanto all'altro la gente è affezionata senza cedimenti a quella brodaglia chiamata "petit café". In un momento di tranquillità gli ho chiesto di vendermi qualcosa dei suoi tesori. E di parlarmene. Ha cominciato ad aprire scatoline e sacchetti con aria furtiva, porgendomele esitante per farmele annusare, arrossendo perfino un po', come se sottoponesse al mio fiuto parti nascoste della sua epidermide. E' grazioso nei suoi modi impacciati da timido, nel suo parlottare sommesso ed un po' bofonchiante. Da una delle scatoline aperte all'improvviso si sprigiona come un afrore di vecchio camino fuligginoso. Non conoscevo il Lapsang Souchong, e rimango conquistato dall'odore fumoso di torba e di wisky stravecchio, di sigaro toscano spento e di aringhe. Ne compro un bel pò, il prezzo mi sembra ottimo, per cinque euro me ne riempie un sacchetto grosso così e mi fa un sorriso tutto per me, di quelli che non hanno prezzo. Me lo preparo appena arrivato a casa, e lo faccio come piace a me, ben carico e con una lunga infusione. Ha dopo le prime note un po' untuose che sanno di speck e di würstel, rivela un sapore decadente e misterioso di incenso e di fumeria d'oppio , di ripostiglio pieno di damaschi polverosi e di vecchie baldracche parigine arrochite da troppe Gauloises. E di sacrestia tirata a lucido, di fondaco, di Oriente e di sgabuzzino delle scope. E' un flash, non ricordavo da tempo sensazioni gustative così potenti nell'evocare suggestioni, sensazioni, ricordi. E mi accorgo che è un po' come la canzone di Serge Gainsbourg, come le sue atmosfere di stanze in penombra e di letti sfatti, di alberghetti male in arnese e di decorose, ma tetre case di banlieue.

domenica 1 novembre 2009

Veglia alla vigilia dei Morti


Una volta non c'era Halloween, e i Morti tornavano sulla Terra la notte di Ognissanti. Erano morti buoni, e non facevano paura: solo tanta compassione. Per propiziare la loro venuta tutta la famiglia recitava il rosario a luci spente, e al chiarore del fuoco morente. Poi cominciava la lunga veglia. Si mangiavano castagne bollite attorno al camino, e si beveva vino dolce lasciando una finestra socchiusa, in modo che i morti potessero entrare. E si ingannava il tempo ascoltando i racconti dei vecchi. Racconti di terrori e di magie, racconti di streghe e di masche e di creature misteriose e di spiriti: le potenze non celesti e non infernali che però convivevano con la mia gente da chissà quanti secoli o millenni. Ricordo da bambino una veglia di queste, a tener banco e a raccontare era la mia bisnonna, una che la sapeva lunga sulle bestie, sulle erbe e sulle pietre, tanto che dicevano fosse una mezza strega anche lei. Non aveva paura nè delle masche nè degli spiriti, perché sapeva come combattere e sconfiggere le une e gli altri. Ma le sue esperienze erano sconfinate, e terrorizzanti.

Ho trovato per caso un qualcosa di analogo nella testimonianza raccolta presso un vecchio ultraottantenne di Roccaverano, nell'Alta Langa. La riproduco quasi integralmente, anche se molto lunga. E' una bella lettura. Sa di castagne bollite, di vino dolce, di nebbie e di fumo. Chi ha voglia di vegliare i Morti, mi faccia compagnia.



"Io avevo quattordici, quindici anni; quando ho visto il "chiaro" avevo diciassette anni, sono del ’14, quindi… Ho visto il chiaro a Menasco, è in campagna, era un chiaro che dire non si può dire, ma si vedeva che girava alto così da terra, un metro da terra, faceva un’ombra così e chiaro tutto intorno, tutto uno splendore così. Di notte quando si girava senza luci normalmente si presentava nell rivass (il burrone, n.d.r) , in posti dove a piedi non si può neanche andare, andava veloce come uno a piedi , e poi ogni tanto si spegneva , ma un secondo eh, faceva che spegnersi, faceva soltanto un pezzetto come di qui a là, poi di nuovo faceva chiaro. Io l’ho visto, urca!, quando l’ho visto da vicino avevo una pietra da tirargli, mi è caduta di mano dalla paura. Pensavo che fosse un uomo, invece non c’era nessuno, era grosso, faceva uno splendore come una lanterna, non una luce viva, una luce un po’ come quella di un lanternino, quei lanternini di una volta che facevano una luce un po’ annebbiata, un po’ scura, una bella luce, si vedeva. Poi anche buonanima di mio papà, una volta gli ho detto: "Guarda che era sotto il rivass ". "Vado a vedere". Lui non aveva paura. Quando era sul rivass l’ha visto il chiaro da sotto che girava, poi s’accendeva e si spegneva, poi s’è girato verso di lui e lui ha avuto paura. Non si poteva capire cosa fosse. Battistino anche l’ha visto. Non si poteva capire se ci fosse qualcuno, si vedeva che c’era qualcosa lì, ma non che si potesse capire, come se ci fosse un nido, un nido d’uccello grosso, c’era un po’ di volume lì. Non era una luce come una lampadina ma come una lanterna. . Di luci così a volte c’è il sole, a volte c’è la luna che picchia in un vetro e manda splendore, ma è una luce che si conosce, invece quella là andava, nei campi, attraversava anche la strada. Una volta andando a Mombaldone, lui saliva il rivass andando su dove i nostri vicini avevano la legna , io credevo che fossero i nostri vicini, ma quello lì è salito su come niente, andava tanto forte in salita quanto in pianura e l’altezza era sempre uguale. Poi ha girato, è sceso, veniva vicino a me e io avevo una pietra da tirargli ma avevo paura, non sapevo perché… Questo è successo a Menasco; gli altri l’hanno visto altri giorni, altre sere, sempre in quel periodo ln giro, l’hanno visto giù dal Bormida, l’hanno visto sopra dallo stradone, sempre in quella zona lì.

Poi un’altra, che dicono di non raccontare: io andavo a vegliare, andavo in giro in compagnia, arrivavo a casa di notte all’una , poi mangiavo. C’era un cassetto nel tavolo e c’era della roba dentro da mangiare, accendevo il lume perché allora non avevamo la luce elettrica, e sopra dormiva mio fratello, sopra si sente un tac, tan tan tan…,c’era una stanza di là, lui apre il lucchetto, ma non c'era nessuno. Avevo sentito come dei passi, pensavo fosse qualcuno di quelli che erano a dormire che veniva a vedere. Ho perfino battuto nel tavolo, ma non si è neanche rotto. Le porte non si chiudevano con la serratura, avevano un puntello così contro la porta, se c'era qualcuno come han fatto a uscire non so, dove sono andati nemmeno. Quando mio fratello ha acceso la luce nella stalla al mattino per pulire i buoi , come l’ha accesa ha preso uno schiaffo e non c’era nessuno. Questo è successo nello stesso periodo del "chiaro" e nella stessa zona, era nella semina del grano che ha preso lo schiaffo .

Sempre nella cascina a Menasco, che si passa da qui andando giù dove c’è quella segheria, abitavamo là; io e mio fratello Edoardo, quello che è morto, dormivamo nella stessa casa ma dalla parte di là. Una notte ci tirano via le coperte da addosso, ma noi eravamo svegli, non dicano che sognavamo perché uno solo può sognare, non tutti e due lo stesso sogno… Tira da una parte, tira dall’altra, andavano via le coperte da addosso. Eravamo svegli, di sicuro, perché quando sogni è diverso, il sogno lo vede sempre uno, non che due possano combinare un sogno solo. Non c’era nessuno, c’erano solo le coperte che andavano via. Secondo me era una fisica, un’invidia. Io ho idea che sia un’invidia, una fisica forte, che siano magari quelli deboli che la sentono, e la patiscono, quelli che hanno più paura, magari che gli faccia effetto. Si pensava che qualcuno più forte, mentalmente più forte, agisse negativamente influenzando delle persone più deboli che subivano queste cose, che però non è che non si vedessero, erano create apposta da qualcuno. O da qualcosa. Si formavano anche delle bestie, si formavano anche diversamente, allora si formavano veramente. A Garbavoli c’era una capra… tua nonna Santina lei lo sa perché andava a portare le bestie al pascolo anche lei, lei lo sa, non è che lo dica io…la capra più bella che avevamo noi , la capra più buona che era pronta ad avere i piccoli, se passava da quella casa là pativa, la capra non voleva più andare avanti di lì, addirittura si inginocchiava e non passava più, non è più passata di lì. Però mia madre diceva: "Non andate più di lì a portare le bestie al pascolo, andate dall’altra parte. Qualcosa sapeva, mia madre. Le altre capre andavano avanti, questa invece andava fino vicino a quella casa, poi non andava più avanti. E poi a questa capra i topi sono andati a fargli i buchi sul collo che si vedeva l’osso, e va be’, una sera le fanno un buco, l’altra sera le fanno un buco, buonanima di mia madre le ha fasciato il collo. Anche se era fasciato lo facevano di nuovo, buona fine che le hanno fatto cinque o sei buchi, la capra non stava più su da coricata. Poi c’era mio cognato Ernesto e diceva "Ma cosa ho da fare a questa capra?". Mio padre gli ha detto "La ammazzi e poi la sotterriamo prima che patisca troppo". E così ha fatto, ha fatto un bel buco, l’ha ammazzata e dopo che era sotterrata han sentito tutti che belava da sottoterra, l'hanno sentita tutti. Non è che lo dica io, ma tua nonna lo sa, andava dietro anche lei alle capre, vedeva che s’inginocchiava e non andava avanti perché c’era una fisica , c’era una potenza, c’era qualcosa. Masca vuol dire strega. Sapevamo chi erano, lo sapevamo, ma non potevamo dirglielo eh! A Spigno all’epoca, o forse prima del ’14, ci sono state alcune streghe bruciate da gente che non ne poteva più, hanno bruciato diverse donne, poi avevano detto che il Papa le ha benedette, che le aveva tolto la potenza, e che non bisognava più bruciarle. D’ogni modo adesso no eh, ma parliamo di 70-80 anni fa. Non capitava solo a me, anche agli altri, qualcosa vedevano tutti, avevano quella potenza lì ‘ste streghe. Ai Gherbè , quando siamo andati ad abitare noi, i vicini ci avevano detto: "Quando pulite il porcile non lasciate uscire il maiale e andare da quella parte, che se va di lì muore. Noi non ci credevamo, il maiale era uscito, era andato là ed era morto subito. Tutti gli anni, tutti gli anni, se mollavano di là il maiale moriva, tutte le volte. Si allontanava un po’, a volte lo vedevano, allora faceva 50 metri, 100 metri, e il maiale moriva, andava verso quella casa là, da quella casa là a noi ci saranno stati 100 metri… non c’era niente da fare. Sempre lì ai Gherbè mio fratello Secondino era arrivato una notte tardi per andare a dormire c’è una scala, per salire, lui sale la scala, sempre a quei tempi là, saliva la scala per andare di sopra, dice che gli è venuto incontro un ribatòn ,come qualcosa di grosso che rotola... non ha capito cos’era, si sente rovesciare, sente paura, e al fondo aveva sprangato la porta, non poteva andare via, (ma) in casa non c’era nessuno. E queste cose strane, queste potenze, si formavano e disfavano, io non so come sia. Un po’ più tardi , un po’ prima della seconda guerra, dormivamo, ma io ero sveglio, e poi avevamo Ivana piccola, mi sembra, eravamo svegli, e vicino alla porta bussano dieci o dodici volte, ma forte, che io volevo saltare giù a prendere la rivoltella; ma prendo la rivoltella, vado là, apro la porta, in sostanza che non ho trovato nessuno. Ma la porta l’hanno picchiata eh, non che sia stato un gatto, la porta l’hanno picchiata. E io ho aperto, se c’era qualcuno gli sparavo. Non c’era nessuno. Intanto facevano paura. Tutte robe che allora c’eravamo dentro, uno diceva, l’altro diceva… Io dico la verità: da dopo che eravamo lì a Menasco, di notte, andare a dormire, andare, tornare a casa, avevo paura, e fuori no, fuori in qualunque posto andavo io non avevo paura; quando arrivavo a casa avevo paura, andavo lo stesso eh, però avevo paura perché all’aperto ci vedi, mentre in casa si poteva nascondere qualche pericolo). Si, c’erano i furbi, c’erano i trucchetti, che facevano per farti paura. Ma era un brutto vivere eh allora!, perché se uno ha un po’ d’invidia va lì a farti paura di notte… Fare paura è un conto, perché andavano anche a far paura delle volte, magari andavano ad accendere una luce, vuotavano delle zucche e poi ci mettevano una luce dentro. Erano scherzi, però si capivano, si capiva che era uno scherzo che avevano fatto. Ma diversamente, quello che non capivi… era brutto. Io quella faccenda lì del "chiaro"… ti viene incontro, si spegne, poi ti viene incontro, faceva un po’ d’ombra, questo chiaro faceva luce, dentro c’era un affare un po’ più scuro, persone non erano. Io non ho potuto capire niente, solo tanta paura. A raccontarle adesso i giovani non possono credere, dicono "Raccontano delle balle", ma sua nonna può dirlo, sua nonna qualcosa l’ha visto e può dirlo. Sua nonna ai Gherbè si ricorda, avevamo, di sopra… c’era il solaio, con i suoi legni e le sue travi , e un bel momento, in quel solaio lì, si sono incrociate tutte le travi, una girata di qui, una girata di là, e il solaio è andato all’aria. Poi l’hanno aggiustato, sono tornati a metterli a posto, ma chi è che è venuto ? Le travi erano a posto, il solaio era sano. Le abbiamo trovate così senza che nessuno le avesse toccate....

venerdì 30 ottobre 2009

Poto, ritorna, 'sta casa aspiett' a te!


E' vero, niente è per sempre. Figuriamoci un blog. Un blog che non molto tempo fa festeggiava il suo millesimo post, ma il cui autore ha deciso di "mettere in sonno" a tempo indeterminato, per ragioni che ancora mi sfuggono ma che mi sorprendono in ogni caso. Si, lo so: a volte la disaffezione arriva improvvisa ed imprevista; e ciò che prima era un piacere o un'esigenza si trasforma di colpo in un obbligo o in un dovere sempre più faticoso. A volte viene meno la voglia di parlare di sè, come se quanto sembrava condivisione della propria esistenza viene vissuto sempre più come un inverecondo esibizionismo. A volte, semplicemente, sembra che chiudere le finestre aperte sul mondo, lasciando solo pochi e ben controllati pertugi, sia la soluzione migliore per resistere alle fatiche dei nostri cuori. Manzonianamente, nui chiniam la fronte al massimo fattor che come certe mamme esasperate grida alla propria creatura: "Io ti ho fatto, e io ti disfo!". Ma sempre manzonianamente, per quel che mi riguarda, mi sento percosso e attonito alla feral notizia. Mi mancherà quel blog leggero ed elegante come un giardino all'inglese; mi mancherà il suo protagonista in chiaroscuro, fatto d'ombre e di luci; mi mancheranno le sue vicende, l' ironia velatamente malinconica nell'affrontarle, il florilegio di commenti a cui davano la stura.
Lo so, Poto è un personaggio letterario; o forse un alter ego dell'Autore; o forse una maschera.
Però mi ha dato tanto, attraverso le sue pagine ed i suoi racconti: mi ha regalato sorrisi, buonumore, riflessioni , incazzature, tristezze come un ottimo compagno di viaggio. Come un vero Amico. Mi pesa, e non poco, doverci rinunciare di colpo.
Nulla è per sempre, dicevamo: e Poto è talmente imprevedibile che magari prima o poi torna. Quindi mi auguro che il suo commiato preveda anche il suo saluto preferito: "Arrivedoir!".

martedì 27 ottobre 2009

Un po' di te


Stasera è arrivata, strisciando, la prima nebbia della stagione. Troppo sole di giorno, troppo caldo, troppa luce: e al primo intirizzirsi del crepuscolo ha cominciato a formarsi. Ora palpita pigramente nella vallata, indecisa se alzarsi verso la luna o rimanere strisciante ai piedi della collina. Non ho capito se è una minaccia o una carezza: so solo che anch'io mi sono sentito rabbrividire di colpo. E mi è venuta, improvvisa, una gran voglia di te. Di te che sei il mio passato, o il mio presente, o il mio futuro. Di te con cui ho scambiato i baci più dolci, o gli abbracci più teneri, o i sogni più irrealizzabili. Di te con cui mi sono riempito gli occhi, o il cuore, o l'anima. Di te che sei stato un po' della mia vita, o che lo sei, o che lo sarai. Di te che sei tanti volti, di te che sei un volto solo. Di te a cui ho detto troppo poco, o di te a cui ho detto troppo. E anche stasera non sarai qui. E io adesso ho come un brivido di freddo e di stanchezza. E domani avrò un giorno di più, e un altro po' di solitudine.

Diavolo rosso, dimentica la strada!
Vieni qui con noi a bere un'aranciata:
controluce tutto il tempo se ne va

No, niente aranciata. La solitudine va stemperata con il té; ed essendo costretto a stemperarla spesso, mi sono elaborato un mio personalissimo Cha-no-yu, convinto che
"colui che prepara e beve il tè in contemplazione si avvicina ad uno stadio di sublime serenità."
No, niente ceramiche raku, niente tokonoma, niente kakemono: solo le quattro regole fondamentali fissate da Sen No Rikyu: Armonia, Rispetto, Purezza e Tranquillità. Il tè lo scelgo nero e forte: un Darjeeling dall'aroma muschiato, o un Assam più deciso e pungente. Lo preparo secondo i precetti di Lu Yu, con una lunga infusione che estraendo al massimo i tannini neutralizza l'effetto eccitante, e dà alla bevanda una ruvidezza virilmente affettuosa. Sempre e soltanto di notte, quando le cose, i ricordi e i desideri riacquistano la loro dignità. Medito un po', ma non tanto. La miglior meditazione, in quei momenti, è concentrarmi sui gesti, sulle sensazioni primarie ed intense pur nella loro modestia. E ogni assenza si fa tollerabile, ogni "tu" diventa "io e te". Io ed il tè.




domenica 25 ottobre 2009

Picà a le tende


Stanotte ho sognato Poto. Con oratoria rotonda, humor e consumata perizia da conferenziere stava tenendo una lectio magistralis in una sorta d'aula universitaria ad anfiteatro. Vestito con elegante semplicità, andava indicando delle parole scritte alla lavagna con una lunga bacchetta da maestro d'altri tempi. Sfoggiava un'invidiabile abbronzatura, e io, un po' indispettito, pensavo: "E insiste con 'ste lampade. Possibile non riesca a capire che alla lunga fanno male alla pelle? ". Ma questa è un'altra storia.
La ragione del sognarlo in panni autorevolmente professorali credo risieda nell'avermi insegnato di recente una sapida espressione nell'idioma di Potocity: "picarse a le tende". Letteralmente, appendersi, aggrapparsi alle medesime. In senso lato, dare sfogo al proprio disagio interiore in modo platealmente melodrammatico, come una diva del cinema muto o un'eroina di Pitigrilli. Riscuotendo, si, un moto di immediata partecipazione, ma risultando dopo un po' stucchevolmente eccessivi e larvatamente ridicoli.
Ecco, siccome di questi tempi la tendenza a picarme a le tende mi assale spesso per tutta una serie di motivi che non sto ad enumerare, la lectio del professor Poto capita quanto mai a fagiolo. E ne farò tesoro. Le tende non vanno bene come sostegno al proprio spleen, e men che meno come puntello ai momenti di disperazione, che in tal modo rischierebbero di scivolare lungo la china dell'artificioso e del letterario. Semmai, usate con discrezione, aprendole e chiudendole nei momenti opportuni, possono essere utili nel gioco del "ti vedo-non ti vedo" schermando gli eccessi e rivelando la sostanza nel modo che possiamo ritenere più opportuno. Un po' come fa l'assertivo soggetto della diapositiva, qui sopra.

venerdì 23 ottobre 2009

Gli antenati


Nino, il mio nipotino di sei anni, si è beccato l'influenza ed è stato portato in quarantena dai nonni.
Ho così avuto modo di carpire questo interessante dialoghetto morale.

Nino, disegnando: "Nonna, ma il bisnonno Giovanni era un mio antenato?"
Nonna, concentratissima sul suo imperdibile Sentieri: "Beh si, in un certo senso si può dire che fosse un tuo antenato, si".
Nino, dopo una lunga riflessione: " Nonna, ma il bisnonno Giovanni era una scimmia?"
Nonna, sbalordita: "Ehhhh? Ma cosa dici? Cosa ti salta in mente?"
Nino, quasi scusandosi: " Ma... il maestro ha detto che i nostri antenati erano scimmie..."
Nonna, sollevata: " Ma no, scemetto! Le scimmie erano nostri antenati tantissimo tempo fa. Milioni e milioni d'anni fa!"
Nino, dopo un'altra pausa e come parlando con se stesso: "Ah. Allora il bisnonno Giovanni doveva essere un... un...lupitecus".
Nonna: " Ma come parli?"
Nino: "Un lupitecus! Il maestro ha detto che erano i nostri antenati venuti dopo".
Nonna, trattenendo a stento le risate: "Guarda, il bisnonno Giovanni era normalissimo".
Nino, continuando assorto il suo disegno: " Mi sarebbe piaciuto giocarci".