mercoledì 26 maggio 2010

Due piccioni con una fava




Il signore della foto è un contrabbandiere di piccioni, beccato ( è il caso di dirlo) appena sbarcato all'aeroporto di Sidney mentre tentava di introdurre illegalmente due volatili sul suolo australiano. Sorvolo ( è ancora il caso di dirlo) sulla fava che avrà usato per catturarli, essendo la foto di nessuna utilità alla formulazione di qualsiasi ipotesi. Ma confesso di essere rimasto folgorato all'idea di un connubio così intimo e stretto fra i pennuti ed il peloso. Non per altro, ma solo perché in questi giorni hanno compiuto gli anni due piccioni che volano altissimi, purissimi e levissimi nell' irraggiungibile Iperuranio delle buone intenzioni, dei bei ricordi e dei rimpianti agrodolci. Uno è Ribaldo, già commentatore opimo e sontuoso e puntuale di questo e di altri blog, ora ritiratosi a vivere nella Foresta Nera dove caccia gli orsi e li scuoia a mani nude per ricavarne impressionanti copricapi. Amico opimo e sontuoso e puntuale, a causa delle mie croniche carenze non sono riuscito ad impacchettarlo e a metterlo nella calza destra, quand'era tempo. C'è sempre: certe cose non si perdono. Per questo sono felice di potergli fare gli auguri.
L'altro è la rediviva Anastasia, che mi odierà per averla paragonata ad un piccione e per aver spiattellato Urbi et Orbi del suo genetliaco; ma io odio lei che ha riaperto la baracca senza una telefonata, senza un telegramma, senza una cartolina: sicchè siamo pari. Anastasia è come l'esercito del Cantico: bello e terribile, attira e intimorisce, seduce e spaventa. Capace che se cerchi di infilarlo nel calzino sinistro ti stacca la gamba a morsi. Però mi chiama Zucchero, e solo il Cielo sa quanto faccia bene sentirsi chiamare Zucchero almeno di tanto in tanto. E benchè catafratto da mille difese ben congegnate, ogni tanto lascia trasparire la luce brulicante che si porta dentro, e che non è poi così bravo a tenere segreta.
Insomma, come contrabbandiere di piccioni non ho chances ; ma gli auguri che vi faccio sono sinceri e affettuosi, miei cari!


sabato 22 maggio 2010

Santa barbuta, sempre piaciuta.


Attenzione! Prima che qualche zelante devoto pretenda l'oscuramento del blog per manifesta blasfemia, o peggio emani una fatwa a spese della mia capoccia, chiarisco fin da subito come la foto d'apertura sia soltanto l'accurata e canonica immagine di una santa affatto sconosciuta in Italia, ma assai venerata nei Paesi nordici: Santa Wirgefortis. Così lo dico a tutti: se visitando una chiesa in Germania, in Polonia, in Lituania o in Scandinavia doveste imbattervi in una croce che al posto del corpo martoriato e dolente di Cristo sostiene quello di una procace ragazza riccamente vestita e incoronata, con una bella barba nera più o meno fluente, sappiate che è tutto a posto, ed evitate svenimenti e convulsioni: si tratta solo di Santa Wilgefortis.
La sua storia fu raccontata per la prima volta dal Martirologio Romano del 1586, secondo il quale Wilgefortis sarebbe stata la figlia di un re del Portogallo vissuto nell'VIII secolo. Convertita al cristianesimo, costei progettava di dedicare la sua esistenza a Dio, ma il padre aveva ben altri programmi, e la voleva ad ogni costo maritare a qualche regnante per rafforzare il prestigio politico della propria dinastia. Concluse il pateracchio con il re di Sicilia, anche perché la figliola era di bellezza non comune e di assai leggiadri ed assennati costumi. Messa davanti al fatto compiuto, e invitata a preparare i bauli del corredo senza tante ciance, alla poverina per poco non prese un colpo. Si disperò, supplicò, pianse: ma non ci fu nulla da fare.
Dopo qualche settimana il promesso sposo, con il suo gran seguito, giunse per nave al porto di Lisbona, e le nozze furono fissate di lì a qualche giorno, giusto il tempo di darsi una rinfrescata e riprendersi dalle fatiche del viaggio. La principessa, ormai disperata, trascorse la vigilia in continua preghiera, implorando Dio di salvarla da quel matrimonio che aborriva più della stessa morte. La mattina delle nozze, oh miracolo, oh prodigio! sul volto della fanciulla era comparso un folto barbone nero ed irsuto. Quando il re di Sicilia la vide, andò ovviamente su tutte le furie, e non pensò nemmeno per un attimo all'ipotesi di ricorrere ad un buon barbiere: prese su armi e bagagli, e se ne andò sbraitando di non essersi mai sentito così offeso in vita sua, e che l'avrebbe fatta pagare cara a quei farabutti di portoghesi. Il padre di Wilgefortis, furente pure lui, chiese spiegazioni; e quell'ingenua, invece di buttarla su un'improvvisa ipertricosi da noia, spiattellò l'intervento divino dicendo en passant fosse chiaro come il sole che non si sarebbe sposata nè allora nè mai. Il crudele genitore rispose: "Se non posso disporre io del futuro di mia figlia, ebbene, nessun altro potrà farlo!" ordinando fosse messa a morte come il Dio che voleva portargliela via. Ma da principessa, però: indossando i vestiti più sfarzosi e la corona che le spettava di diritto.


Mentre rantolava sulla croce, un povero violinista girovago, impietosito, cercò di confortarne l' agonia suonandole una musica triste con il suo strumento. Al che la ragazza, scalciando con forza, gli tirò una delle sue preziosissime scarpette d'oro: non si sa bene se per ricompensarlo o per scacciare quell'importuno. Sta di fatto che nell'iconografia ufficiale è spesso rappresentata con un piede scalzo, come nella delicata scultura barocca qui sotto.


Avendo sofferto il martirio, Wilgefortis fu presto canonizzata e santificata, ed il suo culto si estese rapidamente, diventando beniamina e protettrice di tutte le ragazze costrette a sposare chi non avrebbero mai voluto; anche se la chiesa la additò piuttosto come fulgido esempio di castità difesa fino alla morte e tutelata dall'intervento divino. Non mancarono, in tempi recenti, coloro che vollero leggere nella vicenda il retaggio di culti pre-cristiani incentrati sull'Ermafrodito,



nè chi volle ravvisarvi riferimenti proto-psicanalitici ed archetipici all'androginia e al transgenderismo perseguitato, e neppure chi vi trovò forti implicazioni di un femminismo ante litteram.



In realtà l'origine del culto della santa barbuta, drag-king e immaginaria è assai più prosaico e terra-terra. E non parte dal Portogallo, ma da Lucca, dove da più di mille anni si venera il misterioso "Volto Santo". Si tratta di un grande crocefisso di probabile origine proto-romanica o ottoniana, in cui il Cristo, secondo un'inconografia insolita ma all'epoca piuttosto praticata e diffusa in tutta Europa, è rivestito da una tunica sacerdotale. Già nel corso del XII secolo una fida Relatio, per allontanare i sospetti di idolatria, affermò la natura acheropita ( non fatta da mano d'uomo) e miracolosa dell'immagine, rinvenuta , secondo i redattori, da quel Nicodemo che con Giuseppe d'Arimatea depose Gesù nel Sepolcro. Ciò contribuì alla rapida fortuna dell'oggetto, e la sua venerazione divenne una tappa obbligata per i pellegrini che lungo la via Francigena si riversavano su Roma.


Con il tempo la scabra e potente scultura romanica fu ricoperta da decorazioni e paramenti fastosi, e a partire dal XV secolo iniziò il commercio dei souvenirs che la ritraevano, spesso in modo ingenuo o rozzo, e che i pellegrini facevano circolare in ogni angolo d'Europa.

Proprio la diffusione di questo materiale iconografico che ritraeva un'enigmatica figura barbuta e crocefissa ma ammantata di sfarzose vesti regali, così diversa dai tormentati e nudi Cristi gotici, fece nascere la leggenda della principessa barbuta e martirizzata, il cui nome Wilgefortis non era altro che la corruzione e la storpiatura delle parole Hilige Wartz. In antico tedesco, " Volto Santo".

lunedì 17 maggio 2010

Dio è morto


E' ufficiale: Dio è morto. E anch'io mi sento poco bene.


Raul ha detto di non avere una conversazione brillante, di non fare subito colpo e, in soldoni, di ritenersi poco più d'una ciofeca. Tesoro, lo so che sei già impegnato; ma hai visto mai, un domani dovessi ripensarci, ricordati di me. Ti prometto che se non stramazzo al primo colpo stramazzerò al secondo: e che se sopravvivo parlerò io per tutti e due.

domenica 16 maggio 2010

L'isola che non c'è





"Per esempio: dicono alcuni che vi è in qualche parte dell’oceano un’isola chiamata Isola Perduta, per la difficoltà, o piuttosto l’impossibilità di trovare ciò che non esiste, e raccontano che è piena di una inestimabile abbondanza di ricchezze e delizie, molto di più di quel che si dice delle Isole Fortunate; e pur non avendo nessun possessore o abitatore, supera tutte le altre terre abitate per abbondanza di beni. Se uno mi dice questo, io capisco facilmente le sue parole, nelle quali non c’è nessuna difficoltà. Ma se poi come conseguenza aggiunga: " Non puoi dubitare che quell’isola migliore di tutte le altre terre, che sei sicuro di avere in mente, esista veramente in realtà; e poiché è meglio esistere nella realtà che esistere solo nell’intelletto, è necessario che quest’isola esista, poiché, se non esistesse, qualsiasi altra terra esistente sarebbe migliore di lei, e quell’isola già pensata da te come la migliore non sarebbe più tale". Se, dico, costui con queste parole volesse dimostrarmi che non si può dubitare dell’esistenza di quest’isola, sarei portato a credere che mi stia prendendo in giro, e non saprei se reputare più sciocco me che gli credo o lui che crede di avermi dimostrato l’esistenza di quell’isola. A meno che egli non mi faccia vedere che l’eccellenza di quell’isola è una cosa reale e non è come le cose false ed incerte che possono essere nel mio intelletto."

(Gaunilone di Marmoutier, " In difesa dello stolto", 1070).

martedì 11 maggio 2010

Se fosse....

Una città : Londra, dalle parti di Belgrave Road.
Un personaggio televisivo : le velineeeeeeeeeeeee!
Uno stilista : no, troppo facile.
Un attore famoso : Gregory Peck.
Un animale : ghepardo.
Un'automobile : la Topolino amaranto (si sta ch'è un incanto).
Un piatto tipico : Spring rolls, croccanti fuori, morbidi dentro.
Un supereroe : Silver Surfer.
Un indumento intimo : jockstrap (ma leopardati).
Un territorio : le Crete senesi.
Un personaggio mitologico : le tre Grazie.
Un personaggio storico : Fulgence Bienvenue.
Una pianta : Vanda tricolor.
Un film : "Farewell my concubine" di Chen Kaige
Un libro : "Guida galattica per autostoppisti" di D. Adams
Un elemento architettonico : balconcino.
Una parte anatomica : ...ehm...
Una virtù teologale : Temperanza.
Un gruppo pop : Scissor sisters.
Una canzone : "Pedro", della Raffa.
Un'altra canzone : "Basta chiamare!" di non so chi.
Un sentimento : Nostalgia.
Un vino : La Romanée 2006

Se fosse... ma è Poto. E ho detto tutto.
Tanti auguri, caro!


lunedì 10 maggio 2010

Vino gay


Il primo fu "Gayardo", nell'ormai lontano 2002. Era un Nebbiolo d'Alba robusto, profondo e sensuale. Sull'etichetta, "rigorosamente verde, colore gay per eccellenza, un abstract dei testi di Massimo Consoli, fra i piu' conosciuti esponenti della comunita' omosessuale italiana, dedicati all'intellettuale tedesco dell'Ottocento Karl Heinrich Ulrichs, autore di numerosi libri di argomento omosessuale e del primo programma di un'associazione gay." L'idea fu dell'editore Roberto Massari, che da qualche tempo aveva lanciato i " vini da leggere": partite selezionate e sceltissime dei migliori crus italiani, abbinate ai testi di grandi protagonisti della letteratura e della cultura. Prima del "Gayardo", ad esempio, ci fu un "Barricadero Blanco" e uno "Sbattezzo di-vino" dedicati rispettivamente all'opera di Ernesto Che Guevara e di Giordano Bruno. L'iniziativa, romantica, colta ed un po' snob, non aveva finalità nè dimensioni commerciali, e rimase confinata nel campo del pionierismo coraggioso e illuminato.
Non credo ne fosse al corrente Kim Crawford, un neozelandese che cominciò la sua avventura di produttore vinicolo nel 1996, in un piccolo cottage nei pressi di Auckland: praticamente da zero, non fosse stato per una grande capacità imprenditoriale e, soprattutto, per una straordinaria genialità nel marketing. Ai suoi vini, di eccellente ma prevedibile qualità, seppe aggiungere ed infondere un notevole plusvalore fatto di glamour e di fascino. Anche grazie a parties promozionali molto trendy, che giocoforza lo portarono in contatto con la scena dorata di una delle più grandi capitali gay del mondo: Sidney. E probabilmente trasecolò quando venne a sapere che i gay della città spendevano, all'epoca, qualcosa come 4,5 milioni di dollari al mese negli acquisti di vino. Ci pensò un attimo, fece due conti e le sue pupille presero la forma di due $ , girando vorticosamente ed emettendo il suono di un registratore di cassa. Fu così che nel 2003 nacque Pansy! : il primo vino frocio per froci, che ammetteva di esserlo: " ...prodotto per i nostri amici della comunità gay come ringraziamento per il supporto dato alla nostra azienda. E' un vino fresco, divertente e delizioso!" E, bisogna aggiungere, ad alto tasso di favolosità: rosato, manco a dirlo, con un packaging di un fuchsia sfacciato, aroma e sapore "easy", di fragole birichine e di allusivi Calippo.
Fu un successo strepitoso, che ancora continua.

(Segue)

sabato 8 maggio 2010

Cuori toro (Auguri!)


Avrei voluto sposare un toro.
Ma no, mica un toro nel senso di un bisteccone nerboruto; un toro nel senso zodiacale! Che poi a me le bistecche ed i nerbi, metaforicamente parlando, interessano quanto Lady Gaga: cioè zero. Vegetariano nell'anima, ho sempre cercato e voluto quelle energie pulite, calde, luminose e vibranti che la karnazza, per appetitosa che possa essere, non possiede; e che, anzi, le sono nettamente agli antipodi.
Avrei voluto sposare un toro, perché, ne sono certo, le sue caratteristiche e le sue peculiarità avrebbero costituito in maniera plausibile la parte di me stesso che mi manca, e che mi condiziona proprio con la sua assenza.
No, per dire:
"Le sue più grandi virtù sono la pazienza e la costanza": cacio sui miei maccheroni, che sono impazienti e scostanti.

"Il nato nel segno del Toro è piuttosto lento ma tenace e forte, incrollabile nel perseguire i propri scopi. Davanti alla sorte avversa sa resistere ed attendere con calma paziente; non lo spaventano i tempi lunghi, e non perde tempo in recriminazioni e lamentele, che considera inutili": grasso che cola per tenere a bada il mio titanismo solipsista e la mia congenita tendenza al melodramma.

"Il Toro è leale e altruista, ha un fortissimo senso dell'amicizia e farebbe veramente tutto per le persone a cui tiene": una coppia non può essere fatta soltanto di simmetrie opposte e speculari; ci vogliono anche cose in comune che si esaltino scambievolmente. Questa per me sarebbe molto, molto importante.

"Il Toro sa dare calore e amore a chi gli sta vicino in modo semplice, diretto e fluente. Ma può diventare anche possessivo e geloso". Tesoro, basta che mi fai da termosifone per il resto dei miei giorni, poi puoi pure mettermi le manette e chiudermi nello sgabuzzino delle scope quando esci.

"Le persone di questo segno hanno un intenso magnetismo fisico nei confronti del gentil sesso"
Perché, dell'intenso magnetismo fisico che hanno nei confronti del sesso forte non ne vogliamo parlare? No, ma parliamone!

"Diventa assai pericoloso quando si accorge di essere stato tradito e strumentalizzato".
Parliamoci chiaro: io trovassi uno del genere lo tradirei? Lo strumentalizzerei? E che, c'ho scritto Giocondo? Pazzo si, ma mica scemo.

"L'uomo di questo segno ama l'intimità, il calore del nido, la semplicità, la dolcezza. Il luogo favorito è un grande, solido letto, con soffici cuscini e una calda coperta". Un attimo, vado a farmi una doccia gelata e poi torno.

Potrei continuare a lungo: ma la morale è che quelli del Toro sono dei gran gnoccoloni, invitanti come un boero, rassicuranti e confortanti come un piumone danese, sobriamente dolci come un vecchio Calvados, magnetici come la Magneti Marelli, eleganti come l'Apollo Sauroctonos, ghiotti e appetitosi e diretti e succulenti come il buristo, la burrata o la bagna cauda . Almeno per me, per gli altri non so.
E tutto questo sproloquio per fare gli auguri a due tori meravigliosi, che in questi giorni hanno compiuto gli anni alla chetichella.
Il primo , Asa-Ashel, non lo ha detto in giro perché è arrivato a 32, e per quanto li porti splendidamente non vuole che si sappia. Asa-Ashel non è di questo mondo: appartiene ad una evolutissima civiltà aliena, ed è stato mandato sul nostro pianeta per studiare la razza umana.
Vede tutto, sa tutto e sente tutto: quindi sa benissimo cosa rappresenta per me, cosa provo per lui, ed il posto che tiene qui dentro.
Il secondo, Byb, lo ha detto a pochi intimi perché si vergogna di essere così pischello: ma tanto sono venuto a saperlo lo stesso. Tiè. Anche lui secondo me viene da un altro pianeta, o forse da un'altra epoca storica. Forse è fatto d'aria; ma in ogni caso d'aria buona e salubre.
Auguri, ragazzi. E scusatemi se rubo la parte alla Ventura, ma devo dirlo: vi voglio bene.

giovedì 6 maggio 2010

Ritorno


Quel gran figo di Cadavrexquis ha scritto di recente: "Vivere senza scrivere significa vivere senza dare testimonianza di sé a se stessi. Significa vivere senza che nessuno stia a guardare, in continuazione, quello che si sta facendo, anche se quel qualcuno che osserva siamo “soltanto” noi stessi." Ecco, mi accorgo, di colpo, che ultimamente mi sono testimoniato assai poco, e osservato ancora meno. Non solo attraverso questo blog, sia chiaro. Come la contessa di Castiglione, ho velato tutti gli specchi per non vedermi. Sono fuggito a me stesso, e mi sono perso. Salvo poi scoprire di essere finito in una palude; in sabbie mobili che mi stanno lentamente, dolcemente, inesorabilmente inghiottendo. Anni fa stavo per morire in un tino appena svuotato ma ancora saturo di anidride carbonica. Il gas aleggiava sul fondo, si sprigionava dalla feccia che dovevo lavare. Provai con un fiammifero per controllare che l'aria fosse respirabile: rimase acceso, tutto a posto. Mi infilai dentro dalla portella, con i miei stivaloni, lo spazzolone e la canna dell'acqua, e cominciai a lavorare di buona lena. Smuovendo la feccia, il gas si alzò con maggiore convinzione, e io cominciai pian piano a respirarlo; senza accorgermene, ovviamente. Mi sentivo bene, leggermente euforico. Ad un tratto mi misi a pensare: "Come si sta bene, qui! Sembra quando ti corichi nel letto appena fatto dopo una giornata di fatica e ti rilassi, e ti senti in pace col mondo. Quasi quasi schiaccio un sonnellino davvero, talmente si sta bene". Mi prese un gran sonno, malgrado fossero le dieci del mattino: un sonno che mi sembrava buono, dolce, voluttuoso e inevitabile. Mi accoccolai sul fondo del tino, e mi sembrò di scivolare tra lenzuola di seta: non mi rendevo conto che dolcemente, voluttuosamente e inevitabilmente mi stavo lasciando andare al mio ultimo sonno. Ad un tratto sentii un fracasso spaventoso, una specie di boato che mi fece balzare il cuore in petto e spalancare gli occhi; respirai affannosamente, come si fa sempre quando ci si spaventa, e solo allora mi accorsi che nei miei polmoni non entrava quasi più aria. Terrorizzato provai ad alzarmi, ma non ci riuscii. La portella, a nemmeno mezzo metro da me, sembrava di colpo lontanissima. Annaspai nella feccia melmosa, riuscii a far forza sui gomiti e a mettere fuori la testa. Stavo per perdere conoscenza, e il mio rantolo affannoso mi arrivava alle orecchie come se ad emetterlo fosse un'altra persona. Per qualche secondo vidi tutto marrone con lampi di luce globulari, come quando si sviene; ma non svenni, e riuscii a restare lì penzoloni fuori dalla portella, tutto impiastricciato come un animalone annegato in una gora. Il boato spaventoso che mi salvò non era altro che il piccolo tonfo prodotto dallo spazzolone, rimasto appoggiato alla parete del tino e poi provvidenzialmente scivolato sul fondo viscido. Fu allora che imparai cosa vuol dire davvero "lasciarsi andare": imparai come sia facile, inavvertibile, confortevole; e al tempo stesso come sia difficile reagire. Questo blog, e quanto gli gira attorno, e quello che significa, è il colpo di spazzolone.