venerdì 30 ottobre 2009

Poto, ritorna, 'sta casa aspiett' a te!


E' vero, niente è per sempre. Figuriamoci un blog. Un blog che non molto tempo fa festeggiava il suo millesimo post, ma il cui autore ha deciso di "mettere in sonno" a tempo indeterminato, per ragioni che ancora mi sfuggono ma che mi sorprendono in ogni caso. Si, lo so: a volte la disaffezione arriva improvvisa ed imprevista; e ciò che prima era un piacere o un'esigenza si trasforma di colpo in un obbligo o in un dovere sempre più faticoso. A volte viene meno la voglia di parlare di sè, come se quanto sembrava condivisione della propria esistenza viene vissuto sempre più come un inverecondo esibizionismo. A volte, semplicemente, sembra che chiudere le finestre aperte sul mondo, lasciando solo pochi e ben controllati pertugi, sia la soluzione migliore per resistere alle fatiche dei nostri cuori. Manzonianamente, nui chiniam la fronte al massimo fattor che come certe mamme esasperate grida alla propria creatura: "Io ti ho fatto, e io ti disfo!". Ma sempre manzonianamente, per quel che mi riguarda, mi sento percosso e attonito alla feral notizia. Mi mancherà quel blog leggero ed elegante come un giardino all'inglese; mi mancherà il suo protagonista in chiaroscuro, fatto d'ombre e di luci; mi mancheranno le sue vicende, l' ironia velatamente malinconica nell'affrontarle, il florilegio di commenti a cui davano la stura.
Lo so, Poto è un personaggio letterario; o forse un alter ego dell'Autore; o forse una maschera.
Però mi ha dato tanto, attraverso le sue pagine ed i suoi racconti: mi ha regalato sorrisi, buonumore, riflessioni , incazzature, tristezze come un ottimo compagno di viaggio. Come un vero Amico. Mi pesa, e non poco, doverci rinunciare di colpo.
Nulla è per sempre, dicevamo: e Poto è talmente imprevedibile che magari prima o poi torna. Quindi mi auguro che il suo commiato preveda anche il suo saluto preferito: "Arrivedoir!".

martedì 27 ottobre 2009

Un po' di te


Stasera è arrivata, strisciando, la prima nebbia della stagione. Troppo sole di giorno, troppo caldo, troppa luce: e al primo intirizzirsi del crepuscolo ha cominciato a formarsi. Ora palpita pigramente nella vallata, indecisa se alzarsi verso la luna o rimanere strisciante ai piedi della collina. Non ho capito se è una minaccia o una carezza: so solo che anch'io mi sono sentito rabbrividire di colpo. E mi è venuta, improvvisa, una gran voglia di te. Di te che sei il mio passato, o il mio presente, o il mio futuro. Di te con cui ho scambiato i baci più dolci, o gli abbracci più teneri, o i sogni più irrealizzabili. Di te con cui mi sono riempito gli occhi, o il cuore, o l'anima. Di te che sei stato un po' della mia vita, o che lo sei, o che lo sarai. Di te che sei tanti volti, di te che sei un volto solo. Di te a cui ho detto troppo poco, o di te a cui ho detto troppo. E anche stasera non sarai qui. E io adesso ho come un brivido di freddo e di stanchezza. E domani avrò un giorno di più, e un altro po' di solitudine.

Diavolo rosso, dimentica la strada!
Vieni qui con noi a bere un'aranciata:
controluce tutto il tempo se ne va

No, niente aranciata. La solitudine va stemperata con il té; ed essendo costretto a stemperarla spesso, mi sono elaborato un mio personalissimo Cha-no-yu, convinto che
"colui che prepara e beve il tè in contemplazione si avvicina ad uno stadio di sublime serenità."
No, niente ceramiche raku, niente tokonoma, niente kakemono: solo le quattro regole fondamentali fissate da Sen No Rikyu: Armonia, Rispetto, Purezza e Tranquillità. Il tè lo scelgo nero e forte: un Darjeeling dall'aroma muschiato, o un Assam più deciso e pungente. Lo preparo secondo i precetti di Lu Yu, con una lunga infusione che estraendo al massimo i tannini neutralizza l'effetto eccitante, e dà alla bevanda una ruvidezza virilmente affettuosa. Sempre e soltanto di notte, quando le cose, i ricordi e i desideri riacquistano la loro dignità. Medito un po', ma non tanto. La miglior meditazione, in quei momenti, è concentrarmi sui gesti, sulle sensazioni primarie ed intense pur nella loro modestia. E ogni assenza si fa tollerabile, ogni "tu" diventa "io e te". Io ed il tè.




domenica 25 ottobre 2009

Picà a le tende


Stanotte ho sognato Poto. Con oratoria rotonda, humor e consumata perizia da conferenziere stava tenendo una lectio magistralis in una sorta d'aula universitaria ad anfiteatro. Vestito con elegante semplicità, andava indicando delle parole scritte alla lavagna con una lunga bacchetta da maestro d'altri tempi. Sfoggiava un'invidiabile abbronzatura, e io, un po' indispettito, pensavo: "E insiste con 'ste lampade. Possibile non riesca a capire che alla lunga fanno male alla pelle? ". Ma questa è un'altra storia.
La ragione del sognarlo in panni autorevolmente professorali credo risieda nell'avermi insegnato di recente una sapida espressione nell'idioma di Potocity: "picarse a le tende". Letteralmente, appendersi, aggrapparsi alle medesime. In senso lato, dare sfogo al proprio disagio interiore in modo platealmente melodrammatico, come una diva del cinema muto o un'eroina di Pitigrilli. Riscuotendo, si, un moto di immediata partecipazione, ma risultando dopo un po' stucchevolmente eccessivi e larvatamente ridicoli.
Ecco, siccome di questi tempi la tendenza a picarme a le tende mi assale spesso per tutta una serie di motivi che non sto ad enumerare, la lectio del professor Poto capita quanto mai a fagiolo. E ne farò tesoro. Le tende non vanno bene come sostegno al proprio spleen, e men che meno come puntello ai momenti di disperazione, che in tal modo rischierebbero di scivolare lungo la china dell'artificioso e del letterario. Semmai, usate con discrezione, aprendole e chiudendole nei momenti opportuni, possono essere utili nel gioco del "ti vedo-non ti vedo" schermando gli eccessi e rivelando la sostanza nel modo che possiamo ritenere più opportuno. Un po' come fa l'assertivo soggetto della diapositiva, qui sopra.

venerdì 23 ottobre 2009

Gli antenati


Nino, il mio nipotino di sei anni, si è beccato l'influenza ed è stato portato in quarantena dai nonni.
Ho così avuto modo di carpire questo interessante dialoghetto morale.

Nino, disegnando: "Nonna, ma il bisnonno Giovanni era un mio antenato?"
Nonna, concentratissima sul suo imperdibile Sentieri: "Beh si, in un certo senso si può dire che fosse un tuo antenato, si".
Nino, dopo una lunga riflessione: " Nonna, ma il bisnonno Giovanni era una scimmia?"
Nonna, sbalordita: "Ehhhh? Ma cosa dici? Cosa ti salta in mente?"
Nino, quasi scusandosi: " Ma... il maestro ha detto che i nostri antenati erano scimmie..."
Nonna, sollevata: " Ma no, scemetto! Le scimmie erano nostri antenati tantissimo tempo fa. Milioni e milioni d'anni fa!"
Nino, dopo un'altra pausa e come parlando con se stesso: "Ah. Allora il bisnonno Giovanni doveva essere un... un...lupitecus".
Nonna: " Ma come parli?"
Nino: "Un lupitecus! Il maestro ha detto che erano i nostri antenati venuti dopo".
Nonna, trattenendo a stento le risate: "Guarda, il bisnonno Giovanni era normalissimo".
Nino, continuando assorto il suo disegno: " Mi sarebbe piaciuto giocarci".

domenica 18 ottobre 2009

Lettere minatorie


Ci hanno aperto i tiggì della sera, con tanto di faccette compunte e preoccupate degli speaker.
Sono fioccate le attestazioni di solidarietà da parte delle forze politiche e della Magistratura tutta.
Non sono mancati editoriali indignati ed articolesse pensose sui sempre più allarmanti segnali che lasciano presagire il rischio di una deriva terroristica, e che ovviamente accusano la Sinistra di aver "esasperato i toni della civile dialettica fra le parti".
Ma leggerla prima, la lettera delle Brigate Rivoluzionarie per il Comunismo Combattente-Sezione Giustizia e Rivoluzione ?
Bastavano frasi come
" Ai compagni del sud-italia dove avete un doppio nemico, non vi preoccupate questa volta la lotta s’intensificherà in tutto il paese. Signor Presidente Napolitano a lei non abbiamo nulla da dirle se non quello di fare lo stesso appello a colui che dirige la stanza dei bottoni per evitare stragi di civili inermi (e non certo da parte nostra)."

o come:

"Al Dottor Bertolaso vogliamo rassicurarlo che da parte nostra, non saranno toccate nei combattimenti le zone della provincia dell’aquila e di Messina e tutte quelle dove ci saranno zone ad allarme ambientale."
o ancora:
"Presidente Obama questa lettera è anche per lei. Non intervenite questa volta perché ce la caveremo da soli. Per quanto riguarda le basi Nato, se i suoi soldati le lasceranno liberamente, non sarà fatto loro alcun male ma sarà dato loro un lascia-passare per la Svizzera."

per capire al di là di ogni ragionevole dubbio che gli autori della missiva non possono essere che loro: i terribili fratelli Capone che il filmato d'apertura ritrae intenti alla loro attività criminosa.

A conferma di ciò riporto il testo di un'altra loro lettera, dove il confronto stilistico, lessicale e grammaticale li inchioda senza incertezze:

"Signorina,

veniamo noi con questa mia adirvi che scusate se sono poche ma 700 mila lire; a noi ci fanno specie che questanno c’e’ stata una grande moria delle vacche come voi ben sapete.: questa moneta servono a che voi vi consolate dei dispiacere che avreta perche’ dovete lasciare nostro nipote che gli zii che siamo noi medesimi di persona vi mandano questo perche’ il giovanotto e’ uno studente che studia che si deve prendere una laura che deve tenere la testa al solito posto cioe’ sul collo.;.;

salutandovi indistintamente

i fratelli Capone (che siamo noi)

Senza nulla a pretendere"

Resta un'ultima domanda da porci: come diceva Gene Gnocchi, " A chi giova tutto ciò? Cui proGest?"


venerdì 16 ottobre 2009

Marginalia


1) Devo molto a Malvino, per diversi motivi. Sopratutto per il suo cascarmi sempre a fagiolo. Come oggi, con la segnalazione di questo bel passo di Elias Canetti:

«Calmarmi è forse la ragione fondamentale per cui tengo un diario. Si stenta a credere quanto la frase scritta calmi e domi l'uomo. La frase è sempre un Altro rispetto a colui che la scrive. Gli sta dinanzi come qualcosa di estraneo, una subitanea, solida muraglia, di là dalla quale non si può saltare. Si potrebbe forse aggirarla; ma prima ancora che si sia giunti dall'altra parte, ecco sorgere ad angolo acuto con essa una nuova muraglia, una nuova frase, non meno estranea, non meno solida e alta, che essa pure alletta affinché la si aggiri. Gradualmente viene componendosi un labirinto, in cui chi l'ha costruito si orienta a stento. Girando e rigirando, egli si calma».

Si, devo girare e rigirare anch'io nel mio labirinto da cui non riesco ad uscire. Senza fretta, cercando di calmarmi. Del resto era stato per questo che avevo aperto il blog, a suo tempo: per dare un po' di voce ed un po' di libertà al Me stesso che di solito tratto così male. Poi l'altro io, il tetragono caporale subalpino e pistapauta che ritiene vergognosa ed infamante ogni manifestazione di smarrimento o di fragilità ha cercato di riprendere il controllo della situazione. Lui pensa sempre a cosa dirà la gente, sibila che " lamentarsi non sta bene", teme le brutte figure, paventa lo scherno camuffato da commiserazione. L'Altro però non ce la fa più, ed ha bisogno, almeno, di nuove muraglie e di nuove frasi da cui farsi allettare.

2) Ogni fine è diversa da un'altra, ma tutte, in sostanza, assomigliano ad un naufragio fra i marosi di una tempesta notturna. E' il giorno dopo che è sempre uguale, quando ti svegli spossato e ferito sulla spiaggia. E il mare è una tavola, e il sole è un bacio, e il vento è una carezza, e tu che di colpo non hai più niente, che sei solo e abbandonato su un'isola deserta, che non sai se e quando potrai cavartela, ecco: tu ti senti preso per il culo alla grande.

3) Rapunzel pare abbia deciso di tagliare le trecce. Non so se è vero, ma in ogni caso non si affaccia più alla finestra della torre.

4) Mi sto lasciando un po' andare. Inselvatichisco. Poco fa mi sono reso conto che non mi faccio la barba da Sabato scorso. Da un po' di tempo in qua faccio fatica ad alzarmi, al mattino. Troppa fatica: e non è un buon segno. Non sorrido da giorni, al punto da sentire i muscoli facciali anchilosati. Nemmeno questo è un buon segno.

5) Stamattina mio nipotino ha imparato a leggere, e fiero ed orgoglioso stasera a cena ha voluto darmi un saggio della sua bravura. Ha afferrato il giornale, ha scelto un titolo ed ha sillabato trionfante: "Be-r-lu-sco-ni- Bos-si!" Non ne verremo più fuori.

6) Sempre stamattina ad un amico che mi chiedeva cosa sto facendo di bello, ho risposto: "Mi preparo ad un Inverno che si annuncia molto, molto lungo" . "Beh, capirai- mi ha risposto- giralo come vuoi, ma l'inverno dura comunque tre mesi". Il mio bicchiere è sempre mezzo vuoto, lo so: ma parlavamo di Inverni diversi.

7) Alcuni giorni fa si è intasato il collettore generale degli scarichi domestici. Mi ci sono volute quasi tre ore per stasarlo, migliaia di bestemmie, diversi cambi d'abito e molte docce. Ma ci sono riuscito, sentendomi abbastanza fiero di me stesso. Ho pertanto deciso di sostituire il mio profilo sul sito di Eliana Monti: basta voli pindarici, provo a buttarmi sul pratico: "Serio, onesto, ottimo cuoco, abile muratore, apprezzabile idraulico, provetto imbianchino, all'occorrenza discreto falegname, piastrellista, elettricista, arrotino ed ombrellaio, relazionerebbe serio e onesto min 19, max 69, richiesta autonoma facoltà respiratoria."

lunedì 12 ottobre 2009

Schifoso


Credo nel dialogo, nella discussione e nel confronto. Pur accalorandomi all'eccesso in difesa delle mie idee non ho mai disprezzato chi non la pensa come me, anzi, cerco sempre di capirne le ragioni, pronto a riconsiderare le mie quando è il caso. Ma essendo impulsivo e passionale, vado fuori di testa davanti alle calunnie aberranti e crudeli astutamente travestite da pensose e sagge opinioni, e propalate in nome della libertà d'espressione. Vado fuori di testa quando verità cristalline e semplici vengono combattute con il veleno delle menzogne melliflue e capziose, dei sillogismi grossolanamente corrotti e corruttori. Lo ritengo un comportamento schifoso, rivoltante ed indegno soprattutto quando viene messo in atto per ribaltare la realtà; per trasformare, ad esempio, i perseguitati in persecutori, o le persone perbene in mostri di abiezione. Sono annichilito, ad esempio, a leggere questa cosa tremenda, che andrebbe contestata e demolita punto per punto, parola per parola; ma io per la nausea e per lo schifo e per la rabbia non riesco a farlo.

Aggiornamento: lo choc provato ieri per il primo articolo mi ha impedito di notare quest'altra perla, che in qualche modo ne è la diretta ispiratrice. Nella versione on line risulta firmata da Mara Carfagna, ma in realtà è parto di Renato Farina, l'ineffabile omino di burro della stampa italiana noto anche come "Betulla".

Que reste-t-il II







Noto con OVVOVE come alcuni capisaldi a cui è abbarbicato il romanticismo che la mia generazione ha creduto a torto o a ragione di praticare, non solo non sono affatto condivisi dai marmocchi mocciosi delle più recenti, ma ne risultano bellamente ignorati e sbertucciati. Al punto che un marmocchio moccioso arriva a chiedersi se il "Que reste-t-il" riportato nel post precedente l'abbia per caso scritto io. Ma si può? No, dico: ma si può? Oltretutto è una canzone talmente famosa che non posso nemmeno tentare di bullarmela per far colpo sul predetto, magari dicendo " Tu vois, mon petit chou, a tempo perso mi diverto a schiccherare qualche lirica in francese. Ma robetta, eh?".
Sarei sgamato subito, e giustamente, sacrosantemente messo alla berlina.
E allora si sappia che il testo è di una celeberrima canzone di Charles Trenet, a sua volta celeberrimo chansonnier e paroliere francese che calcò le scene dal 1930 fino a poco più di un decennio fa. Di tutti i suoi innumerevoli successi, " Que reste-t-il" è uno dei più celebri e celebrati. Anche se pochi sanno si tratti di una canzone a tematica gay, che l'autore, gay lui stesso, dedicò alla malinconia dei tanti, dei troppi amori sbocciati fra uomini e rivelatisi presto o tardi impossibili.
Delle tante versioni esistenti, propongo quella di Dalida sapendo di fare cosa gradita al mio Canarino.

sabato 10 ottobre 2009

Que reste-t-il

Ce soir le vent qui frappe à ma porte
Me parle des amours mortes
Devant le feu qui s' éteint
Ce soir c'est une chanson d' automne
Dans la maison qui frissonne
Et je pense aux jours lointains

Que reste-t-il de nos amours
Que reste-t-il de ces beaux jours
Une photo, vieille photo
De ma jeunesse
Que reste-t-il des billets doux
Des mois d' avril, des rendez-vous
Un souvenir qui me poursuit
Sans cesse

Bonheur fané, cheveux au vent
Baisers volés, reves mouvants
Que reste-t-il de tout cela
Dites-le-moi

Un petit village, un vieux clocher
Un paysage si bien caché
Et dans un nuage le cher visage
De mon passé

Les mots les mots tendres qu'on murmure
Les caresses les plus pures
Les serments au fond des bois
Les fleurs qu'on retrouve dans un livre
Dont le parfum vous enivre
Se sont envolés pourquoi?



Stasera il vento che bussa alla mia porta mi parla degli amori morti, davanti al fuoco che si spegne.

Stasera è una canzone d'autunno nella casa che rabbrividisce, e io penso ai giorni lontani.
Che cosa resta dei nostri amori? che cosa resta di quei bei giorni? Una foto, una vecchia foto della mia giovinezza.
Che cosa resta dei dolci messaggi, dei mesi di Aprile, degli appuntamenti? Un ricordo che mi tormenta senza sosta.
Felicità leggera, capelli al vento, baci rubati, sogni in crescendo: che cosa resta di tutto questo, ditemelo.
Un piccolo villaggio, un vecchio campanile, un paesaggio nascosto; e in una nuvola un viso caro del mio passato.
Le parole, le parole dolci che si sussurrano, le carezze più pure, i rami al fondo dei boschi, i fiori che si ritrovano in un libro, il cui profumo ancora inebria, se ne sono andati
perché?

martedì 6 ottobre 2009

Tanto di me


L'amico Marco mi conosce così bene, e conosce così bene le mie peripezie antiche e recenti, che non ho dubbi abbia pensato anche a me e alla mia storia quando ha scritto questo pezzo che rubo al suo blog e riproduco qui integralmente.

"Ci sono delle persone che sono capaci di un grande amore, ma questo amore non gli è dato manifestarlo perché, secondo l’opinione dei più, sarebbe indirizzato dalla parte sbagliata. Sarebbero dei compagni ideali per chi avesse avuto la fortuna di condividere con loro la vita; e sarebbero loro stessi felici e fortunati. Magari avrebbero potuto costruire insieme una vita, un lavoro, i viaggi, un’organizzazione anche economica e produttiva. una famiglia. Fosse andata in quel modo, sarebbero stati persone realizzate, più di tanti che, etero, legalizzati, accettati, sono però incapaci, alla prova dei fatti, di compiere il loro ruolo. Purtroppo però questa unione è resa impossibile, e questo amore viene sprecato, per il solo e semplice fatto che con un uomo non si può.

questo problema, questo dramma riguarda tutti noi, indipendentemente dalle situazioni personali: riguarda le possibilità negate, riguarda il diritto fondamentale a provarci, e vivere una vita di coppia, che agli etero è concessa e a noi no, nella stragrande maggioranza dei casi. E solo per un dettaglio: l’oggetto dell’amore, amore di cui ci si riempie la bocca quando è fatto come la maggioranza comanda, ma che è prontamente negato quando è tra due uomini o tra due donne. Un aspetto che nemmeno li riguarda questi censori in maschera, ma che vorrebbero sradicare come una mala pianta, come la degenerazione di ciò che senza contraddittorio considerano l’unica forma dell’amore vero. Senza chiedersi nulla, senza capire, e confondendo le idee a chi gli dà ascolto, come se poi anche tra noi non ci fossero (e sono tanti!) amori veri, profondi, e duraturi.

Siamo tutti coinvolti: anche fosse uno solo ad essere in questa situazione, sarebbe necessario lottare."

Certo, per quanto mi riguarda non posso addossare tutte le colpe al destino cinico e baro, o alla società cattiva ed insensibile, o al governo ladro: anzi, me ne guardo bene. Sono sempre stato abituato a confrontarmi con le mie responsabilità, e col tempo ho maturato nei confronti di me stesso un atteggiamento arcigno ed intransigente fino alla spietatezza. Ma devo anche ammettere che il microcosmo in cui scelsi di trascorrere la mia esistenza era ed è il meno favorevole alla realizzazione anche parziale dei miei sogni. Così c'è tanto di me, nello scritto di Marco: soprattutto nell'ucronia di ciò che avrei potuto essere, e che non sono; di chi avrebbe potuto essere parte di me stesso, e non lo è. Soprattutto nel profumo di felicità sognate e mai realmente possedute. Ma c'è dentro anche la storia di tutti, davanti alla quale il mio privato si confonde e si impasta con quello di tanti, di troppi altri. Anche per questo Leviatano irrisolto sarebbe necessario lottare.


domenica 4 ottobre 2009

Sei bravo, dottore.



Che poi alle volte basta davvero poco per tirarsi su. Magari l'intervento di un terapeuta che lavora anche la Domenica sera. Uno bravo, insomma.

sabato 3 ottobre 2009

Sabato




Vorrei solo dare un senso a questo vuoto che mi affligge da un po', visto che sembra proprio non riesca a riempirlo.
Se non riesco a dargli un senso ho paura che mi sconfigga.
Fra poco arrivano l'ammmerigani, e domani i crucchi. Mi sentirò un vecchio disco rotto. Il Sabato del villaggio.

venerdì 2 ottobre 2009

Le regole di Dioniso


Nel commento di un post precedente, SkarM si chiede: "chissa cosa ne esce fuori da una serata all together con tante belle bottiglie di buon vinello . Come si suol dire: "In vino veritas!".
La risposta la diede Dioniso stesso, quello che noi latini chiamiamo Bacco, circa duemilacinquecento anni fa per bocca del commediografo Eubulo.

"Tre coppe di vino, non di più, stabilisco per i bevitori assennati.

La prima per la salute di chi beve.

La seconda per risvegliare l'amore ed il piacere.

La terza per invitare il sonno.

Bevuta quest'ultima, il saggio se ne torna a casa.

La quarta non è più nostra, è fuori misura.

La quinta urla.

La sesta significa schiamazzi.

La settima, occhi pesti.

L'ottava, arrivano gli sbirri.

Nove, sale la bile.

Dieci: si è perso il senno, e si diventa bestie. "

(Va detto ad onor del vero che la coppa dell'epoca conteneva quasi mezzo litro di vino. Quindi, quando capiterà di venerare Dioniso all togheter, possiamo scolarci un paio di bottiglie a testa senza paura di essere radiati dal novero dei saggi bevitori!)