mercoledì 30 marzo 2011

Comunque vada...




...sarà un successo. E le vittorie che contano sono queste. MERDAAAAA!

giovedì 17 marzo 2011

Mes meilleurs salutations



Domattina molto presto parto e vado qui per qualche giorno. Tra una cosa e l'altra sono dieci ore di viaggio, poi mettici le soste e i rifornimenti, poi mettici che mi ricapiti come all'Autogrill milanese (la seconda parte della storia al mio ritorno) : insomma, di tempo ce ne vuole. Oltretutto viaggio solo, e mettici anche il rischio dell'abbiocco, visto che le autostrade francesi sono belle ma spesso monotone, e le radio francesi un vero disastro.
La meta è un bel posto, una terra magica e affascinante, tante belle cose da vedere (e che io non vedrò, mica c'ho tempo), gente civile, cordiale e simpatica; ed i soliti amici del circo di cui faccio parte. Malgrado tutto un po' d'ansia per il viaggio c'è sempre, e per di più parto non sereno e sul nuvoloso andante (sai che novità) per via delle solite concomitanze e della mia conclamata abilità nel complicarmi la vita.
Chi indovina la mia destinazione, l'anno prossimo lo porto con me, e per premio gli lascio caricare e scaricare il furgone. Ovviamente chi la destinazione la conosce già è escluso dal concorso. State bene.



mercoledì 16 marzo 2011

Festa fuori luogo



Mai capitato di partecipare ad una festa del tutto fuori luogo? Una festa che pur avendo validissimi motivi per svolgersi risulta sbagliata nel contesto, nell'organizzazione o nella localizzazione? Io sono molto contento che il nostro Paese festeggi questa sera l'anniversario della sua unione; e sono rimasto commosso nel vedere le case della mia cittadina paludate di tricolori molto più di quando si vinsero i Mondiali; e mi fa piacere in questo momento sentire la fanfara fin da qui, segno che il brutto tempo non è bastato a tenere a casa la gente.
Però diamine, i conti non mi tornavano. Il 17 Marzo 1861 Cavour proponeva al voto delle due Camere riunite del Regno di Sardegna un Disegno di Legge costituito da un unico articolo: "Il Re Vittorio Emanuele II assume per se e per i suoi successori il titolo di Re d'Italia". Angelo Brofferio, capogruppo della Sinistra parlamentare dalle forti simpatie repubblicane, minacciò di mandare a monte l'esito plebiscitario desiderato da Cavour, pretendendo che fosse inserita la frase: "per volontà del Popolo italiano". Dopo qualche schermaglia ritirò l'emendamento per non infrangere proprio in quel giorno il clima di concordia nazionale che sembrava crearsi.
Ma quel giorno fu solo l'inizio del Regno d'Italia, fra l'altro non più esistente dal 1946; Regno ancora incompleto, la cui effettiva unità fu raggiunta solo il 20 Settembre 1870 con la definitiva conquista di Roma. Certo, quel che conta è l'intenzione; ma festeggiare domani il centocinquantenario dell'Italia unita è storicamente scorretto e fuorviante. Si sarebbe dovuto festeggiare tra nove anni, insomma; e vedremo se all'epoca qualcuno se ne ricorderà.
Dice: "Embè? Cosa cambia? L'importante è che si celebri l'identità nazionale, le radici da cui veniamo, etc. etc". Cambia sì, perché la presa di Roma fu la definitiva sconfitta di quel Papato che si oppose strenuamente, e fino all'ultimo, al progetto di unificazione italiana, e che in seguito avversò e scomunicò tutti i cattolici desiderosi di impegnarsi nella vita politica del nuovo Paese; di quel Papato il cui attuale rappresentante, con notevole faccia di bronzo, vorrebbe prendersi un bel po' del merito di quell'Unità un tempo ferocemente combattuta. Invito a leggere questo gran bel pezzo di Malvino, in proposito.
Intendiamoci: chi ha esposto la bandiera alla finestra, beh, ha fatto bene lo stesso; però passata la festa la riponga con cura, che tra nove anni tornerà di nuovo utile.

martedì 15 marzo 2011

Saluti dal Giappone


Si, avrei dovuto continuare il racconto della mia boccaccesca avventura. Ma poco fa è arrivata una email da parte di Keiko, una ragazza minuta e gentile che lavora per il nostro importatore di Tokio. Parla bene il francese, e così trattiamo praticamente solo con lei; e la vediamo abbastanza di frequente in giro per fiere e rassegne. Le avevamo scritto subito dopo le prime notizie del terremoto, quando le cose non sembravano ancora così terribili. Sulle prime aveva risposto rassicurandoci che tutto era sotto controllo; oggi ha scritto di nuovo, molto più preoccupata. La sua lettera è un pezzo di vita vera, quella vita che le sole immagini dei telegiornali sembrano ridurre a mero spettacolo.
Ho deciso di riportarla qui, integralmente.
Coraggio Keiko, coraggio Giappone.

" Carissimi,
Vi scrivo per aggiornarvi sulla situazione disastrosa del Giappone.
Ci sono allarmi e preavvisi di scosse quasi ogni ora, e si può immaginare come stiamo vivendo.
E' terrificante, abbiamo perso ogni parola davanti a questa catastrofe, fra colleghi e in famiglia quasi non si parla se non lo stretto necessario per comunicare.
Molti di noi sono partiti verso Sud, per proteggere i propri cari dalle radiazioni, dicono che stanno diventando di ora in ora più preoccupanti.
Matsuki ha già mandato la sua famiglia a Sud, e si sta preparando a raggiungerla in macchina, con i treni non è detto che sia possibile. E non è detto che troverà benzina sufficiente durante il viaggio.
Ideoshi per fortuna ha poi trovato i suoi famigliari a Shizuoka, e sono al sicuro.
Naruto invece è molto preoccupato, i suoi sono sfollati e non riesce a comunicare con loro. E sua madre è ferita abbastanza gravemente.
Nell'insieme sembra che i nostri clienti siano tutti salvi, ma purtroppo non abbiamo ancora notizie dei ristoratori e degli enotecari delle regioni più disastrate.
Spero che riusciremo a contattarli a più presto, e mi auguro soltanto che siano sani e salvi.
E' tutto. Per il momento, la situazione è decisamente grave, e ancora impossibile da valutare: i dati che ci vengono comunicati si evolvono molto rapidamente. I prossimi giorni rischiano di essere molto difficili, perché moltissima gente sta cominciando ad abbandonare Tokio per paura della radioattività.
Vi ringrazio tanto per i vostri messaggi, li ho fatti leggere a tutta l'équipe ed ai clienti, affinchè sappiano che siete loro vicini e li pensate.
Ancora grazie infinite per il vostro sostegno.

Keiko Noshiguki"




lunedì 14 marzo 2011

Le tentazioni di Sant'Antonio



"Scusa, hai una sigaretta?"


Lo sto guardando da un po'. Di sottecchi, da sopra il giornale. Sui trentacinque, moro, alto come me, e snello. Barba di una settimana, curatissima, che gli affila il viso e gli dà un non so che di sulfureo. Duvet fighetto, jeans slim fit che strizzano forme non statuarie ma comunque ammirevoli. Sneakers di marca, e una sciarpa di seta grigia accuratamente drappeggiata; e occhiali da sole a goccia, del tutto fuori luogo in quel crepuscolo piovigginoso. La Wanda, che ama le espressioni desuete e un po' retro, lo definirebbe "un bel bocconcino".

"Mi spiace, non fumo."

Ogni volta che finisco il mio giro di consegne senza intoppi e senza disguidi, mi premio con una Corona Extra e la lettura di un giornale in qualche Autogrill sulla strada del ritorno. Curioso: in questo non mi ero mai fermato. E ancora più curioso: malgrado sia su una tangenziale trafficatissima non c'è quasi nessuno. Prendo la mia Corona Extra e il mio giornale, esco e mi piazzo sotto la breve tettoia laterale che guarda il parcheggio angusto e semideserto. Due desolate cabine telefoniche che nessuno usa più. Il mio furgone. Tre macchine. Die Tir imponenti e silenziosi, un po' più in là. E lui.
Io devo avere la faccia dei giorni peggiori: la stanchezza, la malinconia che non mi molla, i soliti pensieri che fanno ressa. Mi sorprende che mi dia del tu. Ma siamo democratici, no? E sotto sotto mi fa piacere.

"Vabbè, non importa."

E' arrivato dopo di me, col passo lento di chi non sa bene cosa fare per ammazzare il tempo. Adesso compulsa senza interesse lo schermo di un Iphone. Soprappensiero, tira fuori di tasca un pacchetto di Marlboro, lo apre con la mano sinistra, lo porta alla bocca, ne sfila una con le labbra e torna a girarsi verso di me.

"Scusa, hai da accendere?"

Questo è scemo, penso.

"Ma ti ho detto che non fumo, no?"

"Ho capito, mica sono scemo. Ma anche se non fumi magari hai un accendino, no?"

Effettivamente il ragionamento non fa una grinza.

"No, mi spiace. Non ho un accendino."

Fruga in tasca, tira fuori un accendino e si accende la sigaretta. Sbalordisco.

"No ma allora mi prendi in giro!"

Fa un sorriso, senza guardarmi. Sorridendo gli si forma un ventaglietto di rughe tra gli zigomi e le tempie, che lo rendono ancora più bello.

"Eh, tranquillo, era solo per attaccare bottone!"

Come mai mi fischiano leggermente le orecchie? E come mai non so cosa rispondere?

"Ah. Attacchi bottone con tutti?"

"Solo con quelli che mi guardano come mi guardavi tu."

Tachicardia, giacomo-giacomo alle gambe, gola secca. La mia antica timidezza, mai completamente domata, in frangenti come questo risale il pozzo in cui ho cercato di confinarla.
Lui dice qualcosa sul tempo, sul suo lavoro di rappresentante, se seguo il calcio. Rispondo a monosillabi, o forse a grugniti.

"Senti, ci divertiamo un po'?"

Si è tolto gli occhiali per dirlo. Ha occhi incongrui. Me li aspettavo neri, luccicanti e maliziosi. E invece sono di un marroncino piatto e monocorde. Ma belli, a modo loro. Ora che ha scoperto le carte non lo temo più, e riprendo un po' di verve.

"Sì dai. Hai i racchettoni? O preferisci una partita a briscola?"

Sorride di nuovo, e fa l'occhiolino.

"Sarebbe meglio scopa."



(fine della prima parte)

venerdì 11 marzo 2011

Tsunami



Sì, è vero, è stato un disastro spaventoso. Anch'io ho provato un sincero cordoglio per le molte vittime di questa catastrofe. E lo ammetto, anch'io sono rimasto impressionato dai filmati che mostravano la spaventosa potenza distruttrice dell'onda assassina; e mi sono preoccupato ad apprendere che la stessa potrebbe investire altre zone del Pacifico anche molto lontane dal suo epicentro. Ma tracannare il Lexotan a boccia perché tua figlia (e mia sorella) Lunedì sarà a San Francisco... dai, mi sembra francamente eccessivo.



giovedì 10 marzo 2011

Oggi sposi

Wes and Mark from Key Moments Productions, Inc. on Vimeo.



Lo so, lo so: fosse capitato a me, sarebbe piovuto a dirotto tutto il giorno. Il nipotino avrebbe fatto indigestione di caramelle e avrebbe avuto le convulsioni con gran spavento di tutti. Mio padre, ritardatario cronico, sarebbe arrivato verso fine cerimonia; lui serafico e flemmatico, e mia madre trafelata, furiosa e in lacrime. "O cazzo, gli anelli!" ; "Cooosaaaa??? Ma non dovevi pensarci tuuuu???". Quei disgraziati degli amici, invece del riso, mi avrebbero tirato un gavettone da cinquanta litri di inchiostro blu pensando di non colpirmi; e invece centrandomi benissimo, rovinandomi per sempre il bell'abito che costava un Perù e costringendomi ad un'ora buona di abluzioni fuori programma prima del banchetto. Banchetto che in molti avrebbero ricordato a lungo: forse gli scampi, forse l'insalata russa, forse la panna della torta nuziale, ma un buon terzo degli invitati distrutti dalle coliche intestinali e dalla dissenteria di una forte intossicazione alimentare.
Però è un sogno che ho cominciato ad avere dall'età di otto anni; e che giorno dopo giorno, anno dopo anno, è diventato il più proibito ed il più irrealizzabile di tutti.
Così, da quella vecchia zitella acida che sono diventato, quando vedo qualcuno che invece ce l'ha fatta nel migliore dei modi commento ad alta voce: "Dura minga, non può durare: tempo un anno e divorziano, lo sanno tutti che è un matrimonio d'interesse. E poi, via, ma lo avete visto lo sposo? Quello tra un mese ha più corna di un cesto di lumache". Poi corro a chiudermi in bagno, prima che qualcuno veda le lacrime.

(Grazie a River per il filmato)


mercoledì 9 marzo 2011

La Russa, ancora.


No, non quello che raglia e tira calci. Ancora l'insalata di cui parlavo prima.
Dunque, l'insalata che noi chiamiamo "Russa", si chiama "Italiana" nella sua terra d'origine, ma anche in Scandinavia; "Piemontese" in Francia, "Salatka" in Polonia e "Polacca" in parte della Germania, "Imperiale" o "Castigliana" in Spagna. Quanto basta per far perdere la tramontana, e al tempo stesso dar vento alle vele delle più bislacche illazioni che da sempre navigano nel mare della gastronomia. Così si dice ad esempio che il piatto fu inventato dai cuochi milanesi di Bona Sforza, la quale, diventata regina di Polonia e granduchessa di Lituania nel 1518, lo avrebbe trasportato in riva al Baltico da dove molto più tardi si sarebbe trasferito alla Russia di Pietro il Grande. Peccato che nel XVI secolo la maionese, ingrediente fondamentale della ricetta, non esisteva ancora. Altri attribuiscono la paternità dell'insalata ad un cuoco piemontese di Casa Savoia, che l' avrebbe preparata la prima volta in occasione di un banchetto offerto agli ambasciatori russi; senza peraltro ricordarci il nome del benemerito. Altri ancora la identificano con l'insalata "Genovese" già in voga nel XVIII secolo, che però, benchè composta di verdure miste lessate, era condita con la salsa verde.
In realtà la sua origine va senza alcun dubbio ricondotta ad uno chef francese, di nome Lucien Olivier, che verso la metà dell'Ottocento dirigeva il ristorante Hermitage di Mosca. Costui in quegli anni escogitò un piatto sfarzosamente degno della sua clientela aristocratica: verdure lessate e tagliate a dadini, arricchite con storione salato, gamberi, caviale, tartufi, lingua di vitello ed altre carni; tutto delicatamente avvolto e legato da una maionese agretta, e servito sotto gelatina, in forma di aspic. I ricconi moscoviti andarono in visibilio; e fu il trionfo. I clienti dell'Hermitage erano poi gli stessi che andavano a svernare in Costa Azzurra, soprattutto a Nizza, in Liguria tra Bordighera e Sanremo; portandosi dietro i racconti estasiati della Salade Olivier, e tentando di farla riprodurre dai cuochi rivieraschi. Molto probabilmente con scarso successo, visto che la ricetta originale era mantenuta segretissima, e gli ingredienti necessari difficilmente reperibili; però tutto lascia pensare che quei tentativi di imitazione, lungi dal risultare maldestri, acquisirono subito una propria dignità, al punto da irradiarsi rapidamente per ogni dove.
E' altrettanto probabile che la versione italiana, riveduta, corretta e alleggerita della Salade Olivier sia stata elaborata proprio in Liguria e immediatamente passata in Piemonte, dove ancora ai tempi dei miei nonni si chiamava "Salada à la Rousse" replicando idiomaticamente l'aulica dizione francese. Seguendo le tappe dell'Unità d'Italia, nel 1881 è ormai a tutti gli effetti un piatto a diffusione nazionale, pur conservando ovunque il nome originario. In quell'anno è Pellegrino Artusi a dare la ricetta dell'Insalata Russa, chiosando che "è ora di moda nei pranzi, e conservatone il carattere fondamentale, i cuochi la intrugliano a loro piacere" lasciando intendere quanto fosse già diversificata nell'uso comune. La ricetta artusiana è ritenuta dal suo Autore, che pur ne dichiara la complessità, "una delle più semplici"; prevede patate, carote, fagiolini e barbabietole, tutto lessato e tagliato a dadini piccoli, più insalata verde a listarelle, uova sode, acciughe sminuzzate e cetrioli sottaceto a rondelle. Dopo il condimento con la maionese, il composto è montato e servito in gelatina in forma di aspic.
Pochi anni dopo l'Insalata Russa che si preparava in Piemonte era già ben altra cosa, assai più semplice, fresca e immediata; ed è proprio dal Piemonte che questa nuova versione tornò al suo punto iniziale di irraggiamento, cioè la Costa Azzurra; che ci mise del suo, forse anche in omaggio alla ricetta originaria, ma la chiamò "Salade Piemontaise", diffondendola in tutta la Francia dove ancora oggi è molto amata. Rispetto alla nostra, si nota un minor numero di verdure ma la presenza di uno o più tipi di carne: generalmente prosciutto cotto, o pollo, o wuersteln. Assai più "italiana" è la "Ensalada Rusa" spagnola, di sole verdure e maionese. Durante il regime franchista dovette cambiar nome per non ricordare l'aborrita patria del Comunismo, e si chiamò "Ensalada Imperial", o più limitatamente "Castellana", perché gli spagnoli dell'epoca erano convinti di averla inventata loro. E la ricetta russa di nome ma ormai italiana di fatto, con poche modifiche raggiunse e colonizzò rapidamente anche la terra d'origine della Salade Olivier, sostituendosi completamente ad essa grazie alla sua facilità di preparazione ed alla sua economicità, diventando così la Talijianska salata oggi diffusissima.
Ora, non lo dico per sciovinismo gastronomico, ma è indubbio che l'Insalata Russa preparata secondo la ricetta affermatasi in Piemonte dall'inizio del Novecento è la migliore delle molte versioni esistenti in giro per il mondo.
Ecco il suo segreto: oltre alle verdure lessate, che qui sono patate, carote e pisellini fini, si usa una buona quantità di giardiniera, lavata dall'eccesso di acido e tritata a dadini piccoli; e in più si aggiunge tonno sbriciolato e capperi dissalati tritati finissimi. Si ha così un risultato decisamente più interessante sia nella consistenza, che alterna il morbido delle verdure al croccante della giardiniera, sia nel sapore decisamente più ricco e pieno.


(La foto in alto non è presa a Mosca, ma nella cattedrale ortodossa di San Nicola a Nizza Marittima; fu costruita entro il 1912 a spese dello zar Nicola II Romanov, e a beneficio dei molti nobili russi che da tempo andavano a svernare in Costa Azzurra; gli stessi a cui si devono le origini dell'Insalata Russa)


martedì 8 marzo 2011

Insalata russa




Ci sono periodi in cui quer pasticciaccio brutto che è la mia vita mi sembra ancora più brutto del solito. Siccome non posso fare praticamente niente per cambiarla, mi dà molto fastidio lamentarmene con gli altri. E mi dà fastidio parlarne, nel timore che, facendolo, le ferite inopinatamente riaperte e di nuovo suppuranti diventino ancora più dolorose. Così mi nascondo, mi nascondo un po' a tutto quel che mi definisce; come se, negandomi al mondo, riuscissi a fuggire dal me stesso che odio. Non è saggio, non è sano: è pavloviano.
Sono rientrato dalla Francia giusto una settimana fa, e sia pure obtorto collo ho dovuto subito vedermela con the Big One, il cataclismatico raffreddore-più-forte-dell'anno, che non so bene se attribuire alla malefica e diaccia pioggerella lorenese o alle conseguenze psicosomatiche delle mie miserie interiori. Tant'è. Oggi, dopo una settimana, ho ripreso il furgone per una consegna in Liguria. Dopo qualche decina di chilometri, quando il riscaldamento è andato in pieno regime, ho cominciato ad avvertire un fetorino non particolarmente intenso ma pungente. Una puzzetta leggera di decomposizione, a metà strada tra il topo morto ed i liquami della fossa biologica. Cos'è, cosa non è, al primo autogrill mi fermo per l'ispezione. Nessuna cadavere; solo, dietro al sedile, era rimasta per un'intera settimana la borsa con i resti delle vettovaglie che durante il lungo viaggio oltralpe dovevano servire ad affrancarmi dai tristi e costosissimi sandwiches preconfezionati degli autogrill francesi. E i due panini superstiti, copiosamente farciti di insalata russa casalinga e ben protetti dal Domopack, in una settimana avevano dato vita ad una civiltà molto progredita e tecnologicamente avanzata, al punto da dover sopportare i problemi di polluzione atmosferica e di inquinamento ambientale tipici di ogni incontrollato boom demografico. Buttando ogni cosa nel cassonetto, non pensavo tanto al fatto che stavo distruggendo sul nascere una civiltà in grado di colonizzare l'intero pianeta, quanto ai drammatici pericoli insiti nella mia crescente perdita di contatto con la realtà. E chi ritenesse eccessivo tanto arrovellamento per due panini dimenticati, è solo perché non ha mai assaggiato l'insalata russa che fa mia madre.
Questa sera ho festeggiato la fine del Carnevale con un manzo incredibile. Oddio, avrei preferito andare al concerto, praticamente dietro l'angolo, di una cantante nana, australiana e con un corpo strepitoso (corpo di ballo, intendo); ma siccome ero a Genova, e la nana a Milano, ho dovuto accontentarmi della costata ai ferri. L'ultima, che domani riparto con la Quaresima pre-tridentina, e chi s'è visto s'è visto: addio ciccia, addio salciccia, addio caci e scamorze.
Magari la santa astinenza e la mortificazione della carne mi snebbieranno il cervello, hai visto mai.
Una cosa è certa: se mi sono perso, è ora che cominci a darmi da fare per ritrovarmi, perché così non si va avanti.
Così ho deciso di unire ai supplizi corporali anche un ferreo regime spirituale: per tutta la durata della Quaresima mi costringerò a vergare almeno un post al giorno, con la sola ed ovvia eccezione delle trasferte extra moenia. Ogni giorno mi costringerò a coltivare la parte più vera di me, anche soltanto regalandole un pensiero, visto che, come dicono tutti ,"quello che conta è il pensiero!".
Memento omo, quia pulvis es et in pulverem reverteris.