mercoledì 15 aprile 2009

Bellezze al bagno



Il nuoto sincronizzato è ritenuto da sempre quintessenza della grazia e dell'eleganza femminile, e anche uno dei suoi inviolabili santuari, di cui l'intramontabile Esther Williams resta a tutt'oggi la vestale perfetta ed insuperata. Così mi ha sorpreso un po' scoprire che tale supposizione è ormai del tutto superata, e che da tempo esiste anche il nuoto sincronizzato maschile, dove la grazia e l'eleganza continuano a regnare, sia pure interpretate, rivedute e corrette. La notizia l'ho appresa da qui, e sono rimasto colpito in ugual misura sia dal filmato che dai commenti all'articolo, che invito a leggere. Come al solito qualcuno dice trattarsi di uno "sport da ricchioni", qualcun'altro lo trova ridicolo, qualcun'altro ancora dice che certe cose devono essere riservate solo alle donne. Questione di punti di vista, e anche, come al solito, di abbondanti dosi di burinaggine mentale.
Io sarò bacato e di parte, ma lo trovo un bellissimo sport; e la mia convinzione si è ulteriormente rafforzata dopo aver visto questi filmati
ed aver saputo che l'ideatore ed il coordinatore della prima squadra di nuoto sincronizzato maschile è Gianmario Felicetti!


giovedì 9 aprile 2009

Buona Pasqua!


Alle resurrezioni, da un po' di tempo in qua, non ci credo più molto. Anche se devo ammettere che il mio scetticismo deriva in gran parte dalla mia disastrata autobiografia. Ma la Pasqua, prima di essere Pasqua, è Pesach. Che vuol dire "passerò oltre", ed ha dentro di se i sacrifici e le fatiche dell'esodo, ma anche la premessa e la speranza della liberazione. Anch'io passerò oltre, o almeno ci proverò. Domattina parto presto e mi spingerò a raggiungere Il-ha-Gwilen, tra Aodou-an-Arvor e Penn-ar-Bed, dove la terra finisce. Per cinque giorni cercherò di dimenticarmi e di perdermi fra pioggerelle insistenti ma benefiche, ostriche, formaggi mefitici ma paradisiaci, sidro e querce ancora coperte di vischio. Ci vado volentieri, questa volta, come spinto da un barlume allegro di cupio dissolvi ( e sorvolo sul significato che la parola cupio ha nel mio idioma natio, chi ha orecchi per intendere etc. etc.) .
Passando a cose più serie, mi sarebbe piaciuto lasciare auguri personali a tutti gli amici, senza dimenticare nessuno. Beh, manco a dirlo, sono riuscito a farlo solo con due. I preparativi, signora mia. Così devo ripiegare sui soliti auguri collettivi, che fanno fine e soprattutto non impegnano.
Che la Pasqua sia passaggio verso la felicità per tutti voi.
Non potendo certo rinunciare all'uovo di Pasqua, in apertura ve ne regalo uno particolarmente in tema, oltretutto semplice semplice e senza fronzoli. Per quanti invece preferiscono l'uomo di Pasqua, ricordo che comunque la tradizione pretende sia rigorosamente di cioccolato. Come quello qui sotto, per esempio.


mercoledì 8 aprile 2009

Crolli, nausee e speranze



Non bastavano i miei crolli interiori, ci voleva anche il terremoto in Abruzzo. Da giovane vissi quelli del Friuli e dell'Irpinia. La televisione che li raccontava era ancora in bianco e nero, ma c'erano già Bruno Vespa ed Emilio Fede, che all'epoca leggevano asciutti comunicati senza bisogno di versare lacrime untuose su orsacchiotti di pelouche, nè di dire che il suono delle campane, responsabile di devastanti e pericolosissime vibrazioni in chiese già semidistrutte, "è un segno di vita e di speranza". All'epoca il mio mondo era ancora piccolo e sguarnito, la Carnia e l'Irpinia erano ancora mere espressioni geografiche. Non c'era nemmeno la Protezione Civile, e stringeva il cuore vedere quella povera gente annichilita raschiare macerie con picconi e badili, in attesa che il resto d'Italia si accorgesse di loro. Non c'era nemmeno Radio Maria che vomitava farneticazioni come quella di ieri: "Dio ha concesso agli abitanti abruzzesi di poter partecipare con Lui alla sofferenza della Sua Passione durante la Settimana Santa. Dobbiamo solo ringraziarlo!" Poi il mio mondo s'è fatto sempre più esteso e affollato. E mi sono accorto Lunedì sera, di portarmi dentro tanto di quell'Abruzzo che quasi non me ne rendevo più conto. Un Abruzzo fatto di volti e di voci, di sensazioni e di ricordi, di immagini e di suggestioni, di sapori e di emozioni. E mi sono reso conto, Lunedì sera, che un po' di terremoto è toccato anche a me. Con quel po' di nausea provocata dalla stucchevole, martellante retorica che gronda da quasi tutti i mezzi d'informazione, così stridente se contrapposta alla dignità dei terremotati. Con quel po' di rabbia nel vedere il generale "volemose bbene" mediante il quale la classe politica del Paese, a qualsiasi colore appartenga, assolve magnanimamente se stessa da eventuali responsabilità passate, presenti e future. Con quel po' di incredulità che mi viene nel rendermi conto che il futuro di quelle terre martoriate e bellissime è affidato a palazzinari senza scrupoli che già vaneggiano di "new towns", e meditano di affidare i principali cantieri della ricostruzione alle Province italiane, le stesse che il Brunetta dei Ricchi e Poveri fra qualche settimana si appresta a svuotare di ogni competenza istituzionale ed amministrativa.
Con quel magone straziante nell'apprendere che il meraviglioso borgo di Santo Stefano di Sessanio, che ebbi la fortuna di visitare tempo fa, e di cui bisogna assolutamente conoscere la storia recente ha perso la bella torre medievale e parte dell'antica chiesa che mi incantarono.






Ma anche con la gioia di sapere che i recenti restauri condotti da quella specie di Parsifal che è Daniele Elow Kihlgren non solo hanno permesso di recuperare in modo impeccabile e rivitalizzare buona parte del borgo, ma hanno resistito benissimo al sisma che a pochi chilometri da qui ha fatto tabula rasa di altri più sfortunati paesi.
Ecco, una notizia così è una luce flebile come quella della candela che regge Daniele nella foto qui sotto. Ma è pur sempre una luce. Vorrei fosse quella ad illuminare il futuro dell'Aquila, e non il cerone e la brillantina dei palazzinari.






venerdì 3 aprile 2009

Enetoi




Un buco nero di quindi giorni è quello che separa il mio ritorno dalla Francia e la partenza di domani mattina. Si, mi sono chiuso come il riccio del post precedente, e inorridisco se penso a come di colpo ho dovuto fare i conti con questa parte di me, con questo detestabile me stesso che però la fa ancora da padrone, e a cui cerco di ribellarmi con troppo poca determinazione. Velleitariamente cerco almeno di non dargliela vinta del tutto, e cerco, scrivendo, di ritrovare almeno un barlume di quella serenità e di quella normalità che di colpo mi sono venute a mancare, e che temo di non poter più avere per chissà quanto tempo.
La ragione è presto spiegata: leggendo i commenti al riccio mi sono reso conto di quanto mi costerebbe rinunciare ai piccoli affetti virtuali che grazie a questo blog mi hanno corroborato; e di quanto sarebbe doloroso smarrire i legami pur sommessi e rarefatti che in qualche modo misterioso mi avvincono a persone meravigliose, facendomele brillare in questo momento come stelle nella mia interiore caligine. Non ho che questo rudimentale e povero mezzo, per contemplarne la luce. Sarebbe quasi un suicidio se vi rinunciassi.
Riparto, dicevo, verso la terra degli Enetoi discendenti di Antenore. Hanno bei cavalli, alta statura ed occhi azzurri e verdi. Fra loro vi sono alcune delle stelle di cui parlavo prima, e saperle materialmente vicine e non poterle incontrare è un altro motivo di dispiacere. Incontrerò la stella che brilla più di ogni altra, questo si, e con lui cercherò di tenere a bada i cavalli di Diomede che terribili imperversano in quelle terre.