mercoledì 6 giugno 2012

De insula Sardiniae



Mi ero innamorato della Sardegna una vita fa. Uno di quegli amori improvvisi e violenti, che ti segnano la vita e rimangono lì, inossidabili e indistruttibili forse perché mai messi alla prova. Mi ero innamorato di un'Arcadia immaginaria e feroce fatta di mamuthones, ardìa, componidori, tenores, launeddas, procurad' e moderare barones sa tirannia, canne al vento, Elias Portolu, pabassinas e cordula, balentes, vertiginose solitudini e altre cose del genere. Credevo che tutto rimanesse allo stadio di una personale ed artificiosa mitologia finchè la vita, o chi per essa, mi ci hanno portato quasi a forza. Costringendomi, per mancanza di tempo, ad un assaggio superficiale ed imperfetto.
E quindi:
zero nuraghi, zero domus de janas, zero Goceano, zero Campidano, zero Marmilla, zero Ogliastra, zero Barbagia di Ollolai ( luoghi dove uno dovrebbe andarci apposta già solo per la bellezza dei toponimi);
tenores sentiti di sfuggita alla televisione, in albergo (cambiato canale prima di scoprire che si trattava della pubblicità di un ristorante tipico);
zero di tutta quella mitologia autocostruita, che perciò continua ad essere tale, per fortuna.
E però:
la scoperta di una città inaspettata come Cagliari, che, forse perché così lontana dalla mitologia di cui sopra,  non avevo mai preso in considerazione e che ho trovato invece bellissima, un po' Lisbona, un po' Barcellona, un po' Pamplona; per niente levantina, cordiale, profonda, accogliente, dolcemente  sensuale.
La scoperta, a latere,  di una Sardegna primigenia e non antropizzata, pre-culturale e pre-sarda, assoluta nella sua bellezza violenta e brutale senza mediazioni, scarnificata fino all'osso dei Quattro Elementi che la compongono: Aria, Fuoco, Terra, Acqua.
La scoperta di chi me l'ha fatta scoprire; e più che una scoperta è una conferma, visto che questo paziente Orfeo sta lavorando di buzzo buono per restituirmi un po' di quella natura divina alla quale credevo di aver rinunciato da tempo.
Il riaffiorare di quella natura divina, che poi ti accorgi non essere altro se non lo stare bene con te stesso attraverso qualcun altro che potrebbe dire altrettanto di se stesso.
E dunque:
un altro pezzo di presente, che per chi ne è stato privato troppo a lungo equivale ad un pezzo di eternità;
un altro pezzo di bel presente, che non brucia e non si autoconsuma nel suo trascorrere, ma che è tutto fieno in cascina per i prossimi autunni.

mercoledì 30 maggio 2012



Dialogo tra Babieca e Ronzinante

Babieca: Vi trovo, Ronzinante, malandato!
Ronzinante: Per forza! Non si mangia, 
e sempre  si travaglia!
B: Scusate, ma non bastan biada e paglia?
R: Non me ne lascia il padron mio amato.
B: Ehilà,  Signor, ma siete screanzato!  
La vostra lingua è d'un caval che raglia!
R: Asino è lui, e a dirlo non si sbaglia; 
dovrebbe veder com'è innamorato.
B: Ebben? Che c'è di male?
R: Non è saggio.
B: Metafisico siete!
R: Per la fame.
B: Ditelo allo scudier.
R: Non è bastante.
E poi, di lamentarsi chi ha il coraggio?

Se il mio Padron e il suo servidorame,

ben più ronzini son di Ronzinante?