lunedì 9 febbraio 2009

Da leggere


Cosa succederà, adesso? La morte di Eluana farà venir meno l'urgenza parossistica che ha caratterizzato l'attività parlamentare di questi ultimi giorni, o al contrario la rafforzerà sull'onda della montante isteria collettiva che sembra pervadere una parte delle forze politiche?
Io mi auguro che, ormai liberato dall'oppressione e dalla strumentalizzazione del caso mediatico, il dibattito sul "testamento biologico" ( che è poi il dibattitto sulle libertà fondamentali dell'individuo) possa continuare in modo civile e proficuo; ma con l'aria che tira temo si tratti di una pia illusione.
Ho scovato il recentissimo intervento pronunciato da Umberto Veronesi in Senato; lo pubblico, ed invito a leggerlo. In questi momenti di barbarie è un' esemplare esercizio di civiltà.


Signor Presidente, cari colleghi, in questi mesi, come è mia abitudine, ho molto ascoltato. Ma oggi mi sento moralmente in dovere di prendere la parola. Vi parlo per ciò che sono io, per quello che rappresento per i cittadini: un medico, un uomo di scienza che, per più di cinquant'anni, è stato vicino ai malati di cancro (che ha aiutato a guarire e a vivere a lungo, molto a lungo), ma vicino anche alla sofferenza, al dolore, alla morte.

Per questo da molti anni ho lanciato il movimento per il testamento biologico e, su questo argomento, ho scritto quattro libri (non uno, ma quattro libri), per un totale di duemila pagine. Perché il tema è complesso, è difficile, è delicato. Per questo sono sconvolto oggi.

Sono sconvolto dalla singolare, direi assurda, procedura cui stiamo assistendo. Una legge dello Stato, che riguarda la libertà individuale, verrebbe sbrigativamente decisa sull'onda delle emozioni sollevate da un caso mediatico. Perché questo è il caso di Eluana: un caso mediatico. Perché non ha nulla di diverso, dal punto di vista scientifico e umano, da altri centinaia di casi di coma vegetativo permanente nel nostro Paese, di cui nessuno si occupa. Dietro a una legge emanata per Eluana non ci sarebbe, dunque, né logica, né razionalità, ma essenzialmente un'onda emotiva, che per sua natura è passeggera e, soprattutto, è una cattiva consigliera.

Non c'è dubbio che il caso di Eluana sia stato accompagnato da una pessima informazione. Ma questo non è un alibi per evitare di affrontare lucidamente il problema. Si tratta di un problema di civiltà, che riguarda l'invasione della tecnologia medica nella vita umana. Mi trovo d'accordo con il filosofo cattolico, cattolicissimo, Giovanni Reale, quando vede nel caso di Eluana - sono sue parole - un abuso da parte di una civiltà tecnologica che vuole sostituirsi alla natura.

Quando avverte che si è perduta la saggezza della giusta misura e la Chiesa e il Governo sono vittime di questo paradigma dominante, che vorrebbe tenere in vita Eluana contro la natura e, infine, quando cita Papa Wojtyla, che, rispondendo ai medici che gli offrivano di continuare a curarlo, disse: «Lasciatemi tornare alla casa del Padre».

Vedete, mantenere insieme un complesso di organi e cellule in una vita artificiale è un atto contro natura: oggi, tecnologicamente la medicina è in grado di mantenere in stato vegetativo un corpo senza attività cerebrali quasi all'infinito, ma il fatto che lo si possa fare tecnicamente, non significa che lo si debba fare eticamente.

Penso sia una mostruosità e come me la pensano migliaia e migliaia di cittadini, terrorizzati dalla prevaricazione violenta della medicina tecnologica nella propria vita. Lo dico da uomo di scienza: la tecnologia non ha limiti in sé e se noi, la società e le sue istituzioni non ci impegniamo a tracciare questi limiti rispetto alla vita dell'uomo, chi mai lo potrà fare?

Conosco bene la normativa italiana sul diritto di cura, perché ogni giorno la applico e la vivo insieme ai miei medici e ai miei malati: la nostra legge garantisce la possibilità di rifiutare ogni trattamento, anche di semplice sostegno, come le trasfusioni di sangue e la nutrizione artificiale; abolire questo dritto sarebbe un atto molto grave, che minaccia alle radici il principio di libertà individuale, base irrinunciabile delle democrazie moderne. Voglio pertanto fare un appello alla ragione e alla coscienza di tutti noi e di tutti voi, in quanti membri del Senato, vale a dire di questa Camera alta, di questa istituzione a cui la gente guarda come un punto fermo nella confusione dei momenti di crisi.

9 commenti:

byb ha detto...

mi pare abbiano già rimandato voti e discussioni, o sbaglio?

Poto ha detto...

Vorrei applaudire a questo uomo di Scienza (e di testa).

Come si fa?
Con un onomatopeico "clap clap clap"...

Anonimo ha detto...

Credo che l'ospite di questo blog mi odierà per questo, o conoscendomi forse sarà sorpreso solo in parte; ma vorrei dire due parole che rompono la superficie.

Qui molti di noi sono laici, gay, liberi, progrediti e si piccano di rispondere meno di altri a stimoli di conformismo. Abbiamo fatto in tanti il catechismo tout-court ed in senso lato e ne siamo usciti riformati, ma in senso post-luterano più che controriformista. E nonostante tale metamorfosi, qualche dubbio sul caso Englaro a me resta.

Sacrosanto il diritto a morire, se così vuole il malato. Il caso Welby fu emblematico in questo senso. Giusto anche che non si facciano leggi sull'onda dell'emotività. Pure raccomandabile che non si scontrino i poteri di uno stato laico su di un caso etico. Infine apprezzabile che non si ceda alle pressioni della Chiesa, che pure ha un innegabile diritto di esprimere una opinione e in particolare su di un tema del genere. Ma occorre secondo me che la volontà di morire in un caso del genere sia espressa senza equivoco. E qui sorge il dubbio.

Mentre Welby concesse interviste in cui implorava che lo si lasciasse morire, nel caso Englaro c'è la Cassazione che ha dato per scontata la manifestazione di volontà del malato sulla base delle testimonianze dei suoi parenti. Precisamente è stato "univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento". La sentenza è online.

I giudici decidono e le decisioni vanno rispettate, tranne che non intervenga una legge che innova la materia. Però io sono libero di avere una opinione, e secondo me accertare quanto sopra su base testimoniale è azzardato. Molto meglio sarebbe disporre effettivamente di una espressione diretta di volontà. E non si tratta di dubitare del padre, perché le opinioni benché espresse in modo non equivoco (e questo purtroppo non è il caso di Eluana), possono sempre cambiare. I miei genitori mi conoscono benissimo, ma dubito che avrebbero la serenità di giudizio in un caso del genere di comprendere, desumere e riportare quale sarebbe stata la mia volontà se potessi ancora parlare. Inoltre, le mie convinzioni religiose o agnostiche, il mio vissuto, le mie idee, possono diventare tutte aria fritta se mi trovassi davanti all'irreparabile della condizione vegetativa e potessi per incanto manifestare una volontà: nemmeno io so ora quello che direi. Come può saperlo mia madre?

In mancanza di una volontà chiara e pensata nel momento della sofferenza e della coscienza della morte inevitabile (come quella del caso Welby), desumere una volonta in modo circostanziale come è stato fatto in questo caso, per di più in un vuoto legislativo sull'argomento, resta per me un esercizio di giustizia formale discutibile. Si dovrebbe persino, a mio parere, prendere con le pinze manifestazioni di volontà rese magari anni prima della condizione di malattia, perché il vissuto può essere del tutto irrilevante di fronte alla novità sconvolgente del male irreparabile. In tutta onestà, io non so cosa penserei se mi trovassi nella condizione in cui fu il povero Welby e potessi parlare. Eppure tutti qui e sui giornali che leggono si dividono equamente tra chi vuole il padre al rogo come assassino e coloro che lo vogliono santificare come eroe generoso. A mio parere sono entrambi esponenti di una mentalità ottusa e talebana: antepongono con un urlo la finta convinzione della propria certezza perché non hanno il coraggio di accettare la condizione di incertezza che la vita e i problemi complessi inevitabilmente producono.

Certo, le speculazioni di fronte al dolore sono odiose. Quelle del governo che spera di compiacere le ali oltranziste della società. Ma anche quelle del plotone radical-progressista che non ha mai un dubbio nel tirare il grilletto in caso di aborti e malattie gravi, perché il progresso non può essere arrestato e ogni pensiero contrario è un’anticaglia da suore fallite. Io so che scendo: fermarsi a pensare ed avere un dubbio quanto meno privatamente o su di un blog, mi sembra ancora lecito.

Asa_Ashel ha detto...

@Carlo
hai fatto un'analisi profonda e interessante però vorrei farti presente una cosa: l'argomento per la sua delicatezza e complessità non si presta affatto ad essere legiferato in modo superficiale. I dubbi che ti poni tu , io e altri non devono essere presi come parametro di giudizio ma solo di confronto. Allo stesso modo in cui tu dici che oggi non puoi sapere esattamente come la penseresti un domani o in un contesto diverso, io parto invece da un altro punto di vista: io sono sicuro che non accetterei una condizione di non autosufficenza come quella in cui era finita Eluana, metto la mia autonomia davanti a tutto, mi è del tutto impensabile mentalmente accettare una condizione simile e questo, bada bene, lo dico per me non lo impongo agli altri.In discussione c'è la libertà di decisione di un individuo e su questo punto non c'è ragionamento che mi faccia cambiare idea e il pensiero che qualcuno possa permettersi di fare lo scempio che è stato fatto su questo caso mi fa semplicemente infuriare. Hai tutto il diritto di esprimere e farti guidare dai dubbi ma non puoi pretendere che questi diventino un freno per le decisioni degli altri, perchè come tu hai dei dubbi sull'effettiva opinione di Eluana o sulle tue future opinioni qualcun altro invece può esserne sicuro, e i due pareri hanno la stessa dignità di essere espressi e rispettati.
E' per questo che una legge non deve impedire una scelta, ma deve regolare quei casi dove non c'è mai stata data indicazione di nessuna sorta.
Alla base di tutti questi problemi comunque, e questo non me lo leva dalla testa nessuno, sta una capacità tutta distorta di intendere la morte: è stata troppo mistificata, mentre dovrebbe essere vista per quella che è, cioè un passaggio che fa parte della vita, ma sempre più spesso si tende a dimenticare che questo evento fa parte dello stato naturale delle cose.
Non mi addentro poi in questioni religiose, perchè l'incoerenza dei cattolici su questo punto è grande come una casa.

Anonimo ha detto...

Caro Carlo, nessuno mette in discussione la liceità dei tuoi dubbi, ci mancherebbe. Il dubbio continua ad essere un elemento fondante di ogni società davvero civile. Il dubbio, a mio avviso, dovrebbe portare ad evitare la manicheistica spartizione della realtà, che per altro ho visto molto più praticata nelle schiamazzanti e deliranti "frange oltranziste" che tu citi piuttosto che nello sparuto, disadorno e sgomento "plotone radical-progressista". Le osservazioni che proponi sono state largamente dibattute, tra le fila di quel plotone, come lo dimostra ad esempio l'intervento di Veronesi.
Per quanto mi riguarda, il punto 2278 del Catechismo Cattolico e l'articolo 32 della Costituzione mi sono sufficienti per ritenere che in altri tempi la vicenda di Eluana sarebbe stata trattata con maggiore carità, e che solo una gerarchia vaticana come quella attuale poteva farla degenerare in modo tanto parossistico.

Anonimo ha detto...

E poi bisogna fare attenzione ad immaginare due eserciti in lotta, ognuno proclamantesi Armata della Verità. Nel mondo cattolico ci sono frange silenziose ma copiose che non si identificano affatto con i latranti pastori tedeschi.
Ricordo le recenti prese di posizione di Hans Lung e di Reale, ad esempio; ma mi piace riportare quella di un umile prete, don Paolo Farinella:

"Disprezzata dal potere e dal fanatismo fu denudata ed esposta su pubblica piazza, quando l'uomo senza ritegno e senza valore, celiò sulla sua capacità di partorire. Donna dei dolori che ben conobbe il patire da oltre diciassette anni, Eluana ora sta davanti a noi invisibile, ma presente, promessa di vita oltre la soglia della morte, che come sorella viene ad abbracciarla per trapiantarla nell'Eden della dignità. Disprezzata dagli scribi e dai farisei, sempre contemporanei, non volle far parte del coro dei suoi difensori per partito preso perché schiavi dei loro astratti principi, e non sanno cosa sia libertà di decidere secondo coscienza, in nome di chi disse che lei è comunque e sempre superiore al sabato. Gli urlatori in difesa della vita, costi quel che costi, sono lefebvriani allo stato puro perché vogliono imporre Dio anche a chi ha scelto di non credere: come quelli sarebbero capaci di uccidere chi non si converte. Eluana è stata trafitta dalla superba protervia che cerca ragione a forza di urla; schiacciata dalla impura indecenza, ora entra nella vita che la morte annuncia e rivela, principio di risurrezione."

Anonimo ha detto...

Caro Gan e Asa_Ashel,

sono di due ore più avanti di voi, ma non ho sonno. Mi rallegro di avere riportato almeno in questo blog il tono sul pensiero e un po’ meno sul manicheismo, però devo contraddire Gan. Diciamo pure che in altri tempi il ministro dell’interno democristiano avrebbe probabilmente disposto il sequestro immediato della clinica e arrestato qualche altra figura coinvolta. Ma a parte questo, tu citi la costituzione ed il catechismo e di nuovo compi in parte l’errore fondamentale: giudicare questo caso dal punto di vista etico.

Oggi la Bonino ha detto richiamando Berlusconi che non si può ammettere uno stato etico. Corretto. Il cattolicesimo può dire quel che vuole—nella catechesi o in forma latrata—ed io che seguo il Dio Onan potrei invece ammettere altro. Il fatto è che non si può giudicare dell’opportunità della cura sulla base di un contesto morale di riferimento, quale che esso sia. Perché ognuno è libero di scegliere i propri valori e ciò che sceglie può variare.

Esiste però in uno stato di diritto una costruzione-finzione di morale pubblica che è definito in modo sufficientemente neutro ed entro cui ogni morale diversa deve stare. Essa è appunto la Costituzione. Se una morale diversa le è contraria (ad esmpio, per un musulmano obbligare la prole ad un matrimonio combinato è lecito, per la legge italiana no), la parte di etica che ne fuoriesce può essere ignorata. La costruzione di tale legge fondamentale è per sua natura iterativa: la Costituzione si può modificare perché le circostanze di un paese ed una società cambiano, ed essa si deve adattare al cambiamento sulla base di un procedimento democratico. E qui vengo al punto.

L’art 32, che tu citi, recita “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

Diciamo che le leggi attuali normalmente dispongono che in uno stato vegetativo io venga alimentato con un sondino, se no morirei. Incidentalmente, è da notare che la mancanza di alimentazione porta alla morte anche un campione di decathlon. Eviterei dunque di considerare il sondino “accanimento terapeutico”, perciò non penso che il sondino di per se stesso possa essere violazione della dignità della persona. La discussione è quindi se perpetuare uno stato vegetativo sia violazione del rispetto della persona umana.

Per il sentire comune odierno della maggioranza, perpetuare uno stato di irrimediabile infermità lo è senza ombra di dubbio se la persona ha espresso un parere consapevole contrario (caso Welby). Però attenzione che la prima frase dell’art 32 ci dice che la legge potrebbe egualmente obbligarci anche se non siamo d’accordo. Per come è la nostra Costituzione la volontà del malato non è quindi così fondamentale. Unica argomentazione importante è invece dimostrare che perpetuare una certa cura viola la dignità della persona. In quel caso anche la legge ordinaria soccombe.

In sostanza, per come la vedo io, anche l’art 32 non è in linea con delle posizioni moderne e andrebbe modificato. Esso risente del classico atteggiamento iperpositivista alla francese: la legge sopra tutto. Per un liberale figlio di Locke come me, l’idea fa piuttosto schifo. Ritengo occorra a questo punto riformare anche la costituzione: alla base della cura esiste l’individuo e il suo arbitrio. La volontà consenziente ed informata di non essere curati andrebbe rispettata anche dalla legge. Non rispettare la volontà di un individuo è violare la dignità della persona.

La soluzione pertanto non è né nel catechismo, né nella costituzione. Ma è fare di questo paese di baciapile e trinariciuti un società che si convinca che la partecipazione democratica si basa principalmente su individui che si assumono le proprie responsabilità ed esprimono dei pareri consapevoli ed informati. Ciò che in questo caso, purtroppo, sembra mancare in modo del tutto limpido.

byb ha detto...

l'art. 32 riconosce la volontarietà dei trattamenti sanitari per la singola persona.
l'obbligatorietà è prevista e prevedibile solo per motivi "sociali": un malato altamente infettivo che rifiutasse il ricovero metterebe a rischio l'intera comunità, quindi può essere lecito obbligarlo.
se manca il presupposto di "interesse collettivo", non dovrebbe essere lecito costituzionalmente obbligare alcun trattamento sanitario.

sul sondino si potrebbe discutere se è o meno una terapia. stimati dottori come Umberto Veronesi affermano lo sia, motivandolo compiutamente.
ma questo "costituzionalmente" è un falso problema, perché il sondino è sono certamente trattamento sanitario. in quanto non è normale alimentazione, deve svolgersi sotto controllo medico, e può essere effettuato solo da personale sanitario qualificato. quindi è sicuramente un trattamento sanitario.
e se è un trattamento sanitario, è possibile scegliere di rifiutarlo, sempre e comunque, non può essere imposto a nessuno, salvo per tutelare l'interesse colletivo.
l'art. 32 non parla di accanimento terapeutico, ma di volontarietà, non è necessario ci sia accanimento per poter decidere di rifiutare le cure per se stessi.

Anonimo ha detto...

Carlo hai scritto: "La volontà consenziente ed informata di non essere curati andrebbe rispettata anche dalla legge. Non rispettare la volontà di un individuo è violare la dignità della persona.". Quoto, bisquoto e straquoto. Credo che qualsiasi discussione debba partire da un simile punto fermo. Nel caso Englaro il punto fermo era corroborato dalla dimostrata volontà della ragazza, e messo in discussione da quanti negavano tale volontà, perché espressa in un periodo troppo lontano nel tempo, e non più confermata se non per interposta persona. Lo stato vegetativo permanente non le consentiva del resto nè la possibilità di espressione nè quella di scelta. E' un dato certo che il suo cervello era definitivamente compromesso. Inorridisco al pensiero contrario; inorridisco a pensare all'inferno di un cervello cosciente nel corpo di un vegetale. Inorridisco nel pensare ad una simile condanna per la quale Eluana, al contrario di Welby, non avrebbe nemmeno potuto supplicare pietà.
Eluana aveva smesso di essere "persona" nel '92; la persona Eluana, finché fu tale, aveva espresso in maniera inconfutabile la propria volontà, e non ebbe più l'occasione di ripensarci, e non l'avrebbe avuta mai più.