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Ambiente anonimo reso più banale dal prevedibile arredamento minimal-chic. Ai tavoli solo coppiette: perlopiù composte da trentenni smaniosi di far colpo sulla fidanzata, o da quarantenni in crisi matrimoniale con l'amante al seguito sempre troppo giovane, troppo vistosa, troppo scollacciata e troppo straniera per non dare nell'occhio. Il fatto che per la sala si muovessero i due camerieri più brutti, infagottati, sgraziati e scorbutici mai visti nella mia lunga carriera di frequentatore di ristoranti mi ha indispettito anzichenò, ed ha scatenato la iena che vive dentro di me. La cucina, bah, ha sciorinato tutto lo stupidario ed i birignao della ristorazione trendy e modaiola, imparaticcia e scopiazzata ad uso e consumo degli arricchiti di provincia. Strizzatine d'occhio al finger-food, al minimalismo nippo-catalano, al verdurinismo decorativo che ha sostituito il rucolismo di un decennio fa, al maldigerito ikebanismo degli assemblaggi e delle presentazioni. Nei piatti, alla fin fine, nulla di che: molto "voglio ma non posso" , molta apparenza ma sostanza di irritante ordinarietà. Bottiglie griffatissime che colpiscono più per il prezzo in carta che per il contenuto. Tant'è: visto che non pagavo io, e che la compagnia era piacevole, non sono stato più feroce del lecito. Però si sappia che la tanto strombazzata leggerezza della cucina dei ristoranti fighetti è una grossa bufala: il mio sonno solitamente regolarissimo è stato funestato da sudori, smanie, sete, frequenti risvegli alternati a sogni inquietanti. Cinque vecchie carampane vestite, pettinate e truccate come la Wanna Marchi dei tempi d'oro disquisivano con me, in maniera aggressiva, sulle migliori modalità per utilizzare una monumentale, enorme testa di porco. A turno ognuna delle arpie si esibiva in procedure inusitate e sgradevoli. Ad esempio una di loro appoggiò un aggeggio simile ad un tritacarne sulla parte occipitale del cranio: girando la manovella , una sorta di trivella artigliata perforava l'osso con rumore sgradevole, e ne estraeva la materia cerebrale biancastra e densa, che la virago, tra gli sghignazzi, mescolava a prezzemolo tritato, spalmava su crostini e distribuiva in giro con mio sommo disgusto. Cercavo di vincere il disagio e l'imbarazzo chattando furiosamente con il mio fidanzato, e scrivendogli lunghe e-mail da un pc posto sullo stesso tavolo dove troneggiava la testa di maiale. Del mio fidanzato onirico non ricordo il nome, so solo che iniziava per S., in quanto così siglava i suoi messaggi. Non era nessuno di coloro che ho amato, era piuttosto la risultante di tutti. Curiosamente ricordo gran parte delle cose che ho scritto, ma nessuna delle sue risposte.